Pagina:Le opere di Galileo Galilei VII.djvu/669


di antonio rocco. 661


non uscir esse dallo spazio del zodiaco; che se a i poli più vicine fussero j poste, farebbono giri minori, e così l’essempio è contra voi, più tosto che in favore. Nè so imaginarare, nò voi credo sappiate dirla, chè non la tacereste, qual sia non buona determinazione, che corpi distanti per immensità grandi dal centro non si possano movere in cerchi piccolissimi circa i poli. Forse alla distanza immensa avrà da rispondere la immensità di cerchi nel proprio orbe? e perchè? Rendete, rendete le ragioni delle vostre asserzioni, chè in questo consiste la formalità del sapere: e pur ne sete sempre sì scarso, che appena in mille ne assegnate una, e questa per lo più dialettica e forse imaginaria.

8. Non so, quanto al quinto inconveniente che voi inducete, da quali principii caviate la consequenza contra di noi. Come, di grazia (secondo lo nostre posizioni) le medesime stelle anderanno variando i suoi cerchii, se noi le poniamo fisse ed immutabili da i proprii siti, e che solo si aggirino col suo orbe? Che i cerchi di alcune, insieme con i moti loro, siano diversissimi da quei degli altri, pur che si movano connesse o portate ne i proprii orbi, già vi è stato detto esser senza alcun inconveniente vero. E se quelle che due mila anni fa erano nell’equinozziale, ed a’ tempi nostri (secondo che voi dite) se ne trovano lontane per molti gradi, ciò adiviene (se pur sia vera l’ipotesi), che quel cielo ragirato col moto tardissimo di sette mila anni (supposto quando si statuisse per primo mobile l’altro suo primo moto naturale e semplice in 24 ore, come ho accennato di sopra) si fa sopra poli diversi; onde è necessario che in tanto tempo si varii sito delle parti celesti, non già della stella sola, quasi che per sè cam- minasse per il cielo: e perciò non seguita nè anco per imaginazione che finalmente si abbia, da ridur vicino al polo del suo orbe, ma ne sarà egualmente sempre distante. Che se poi al moto di altro orbe supcriore, al cui polo si approssimasse, descrivesse circolo minore, e poi più picciolo, conforme all’approssimazione che avesse a i poli di questo, niuno assurdo sarebbe; anzi di fatto ciò occorro, nel moto de’ pianeti, i quali, di suo natural movimento correndo per il zodiaco ed essendo sempre in un medesimo modo da i poli de i proprii orbi lontani, per il ratto del primo mobile a i poli di esso or si accostano or si dilongano. Supponete anco in questa induzzione tre cose, che sono o del tutto false o almeno hanno bisogno di stirata esposizione. L’una, che le stelle fisse si movino da sua posta, altrimenti l’approssimarsi a i proprii poli del suo orbe sarebbe ridicolo, ed a i poli de gli altri orbi è necessario: ond’il discorso vostro è nullo; nè il moto della Terra potrebbe ad ogni stella rispondere, se pur non avesse ella tanti moti, quante ha stelle la sfera stellata: ed il moto delle stelle da sè stesse è da voi nel sesto inconveniente deriso. Secondo, che, negando voi il moto del ciel stellato e delle stelle medesime di lui, or concedete (se pur parlate di propria mente) che già due mila anni erano vicine all’equinoziale, ed ora ne siano lontane per molti gradi: ecco dunque si movono, e le ponete immobili; overo tutti son moti della Terra, quanti