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di antonio rocco. | 643 |
10. Che la cagione per cui nel corpo scabro si vegga il lume per tutto, sia Tesser la sua superficie composta d’innumerabili superfìciette piccolissime, disposte secondo innumerabili diversità d’inclinazioni etc., io non so come possiate ciò con ragione imaginarvi. Ditemi per cortesia: queste piccolissime superficiette sono fra loro continuate o no? se sono continuate, saranno una sola, onde è mero placito chiamarle molte e diverse; se non sono continuate, la totale non sarebbe una superfìcie, ma una aggregazione di molte diverse o discrete, a guisa di una quantità di scagliette insieme unite. Mi direte, esser continuate certo, ma però di sito e di rilievo ineguale; secondo la qual situazione diversa possono chiamarsi superfìciette diverse, come accaderobbe in un muro riccio, in una carta rustica, etc. Siavi pur concesso questo, ed a vostro beneplacito in tali corpi si facciano queste reflessioni per le vostre molte superficiette, dalla diformità delle quali nasce la uniformità del riflesso, e sia la cagione deterior dell’effetto: ad ogni modo voi non discorrete dottrinalmente; poi che, dovendo parlar in universale, vi ristringete ad alcuni particolari, a guisa di chi volesse provar, tutti gli uomini di una città esser ciechi, perchè ve ne abbia visti tali al numero di otto o diece. Nelle superficie, dunque, liscie e non trasparenti, delle quali se ne trovano innumerabili, non potrete assignare queste diverse superficiette nè per discontinuazione nè per inegualità, e pur in esse si fa per ogni parte pienamente il riflesso; dunque non fu la causa adeguata questa numerosità di finte superfìciette, e per conseguente i vostri discorsi non sono scienziati. Ed io direi (rimettendomi sempre a chi sa dire ed intender meglio), che il non riflettersi il lume, eccetto che da una parte, ne i corpi tersi e trasparenti, non divenga in conto alcuno dalla unità della superficie totale, perchè ciò accaderebbe a molti altri corpi, che non accade, come ho detto; ma di ciò sia la cagione l’esser di sua natura permeabili dal lume, talchè passando esso lume non si vegga fuor che in quella parte nella quale direttamente il corpo luminoso o colorato si rappresenta, quasi che per la sua presenza diretta più vigoroso e senza languidezza insieme penetri, e non sia superato dal tenebroso del corpo diafano, ma pienamente lo avanzi, specialmente se sia il corpo representante terminato da opaco, altrimenti no, e questa virtù non si conceda a lume più debole o rappresentato lateralmente: e per ciò nel specchio rimirato per coltello non si dà il riflesso, o malamente; e voi sapete benissimo che i prospettivi vogliono che l’oggetto visibile si rappresenti o in tutto o in miglior modo per linea retta, onde per loro più chiara intelligenza descrivono quella lor piramide trilineale, attribuendo alla linea di mezo il punto dell’effetto principale della virtù visiva ed insieme dell’oggetto visibile. Talchè nel corpo diafano i lumi o colori più deboli, concorrendo debilmente ed insieme con i più potenti e lateralmente appresentati, e per la diafaneità e per l’obliquità o non si riflettono o pur non facilmente, se bene nella superficie non diafana avrebbono la sua visibilità e reflessione, ancorchè non così diretta, come ho