Pagina:Le opere di Galileo Galilei VII.djvu/606

598 esercitazioni filosofiche

lume si levano le tenebre, perchè, non avendo ella nè attività nè entità reale, non ha alcuna resistenza; di modo tale che ogni grado di moto l’ha estinta, e per conseguente a questo fine non accade produr velocità sempre maggiore. E quantunque sia dottrina di Aristotile, nel 2° del Cielo, che il moto naturale retto vada acquistando sempre maggior velocità quanto più si allontana dal luogo onde cominciò e si avvicina al suo naturale, non però fa tal acquisto per estinguer i gradi che non furno mai nella natura privativa della quiete, ma sì bene perchè i naturali effetti congionti alla lor cagione operante, non impedita, prendono sempre maggior vigore, e massime i primogeniti della natura, quale è il moto locale, ministro principale o più tosto padre de gli altri. Anzi, se il rimover la quiete (che chiamate tardità infinita) avesse per adeguata causa l’accrescimento di velocità (come dite), necessariamente ogni moto, tanto (dico) naturale retto, quanto circolare o violento, ricercherebbono velocità sempre maggiore, già che tutti cominciano dalla quiete. E se mi direte, in questi (cioè nel circolare e violento) ciò non occorrere, dunque (ripiglio) non fu la causa potissima la quiete, e per conseguente non dimostrate; già che la dimostrazione procede per cagioni sì necessarie ed infallibili, che sempre producono i suoi effetti. In oltre, se per levar via la tardità infinita, che è nella quiete, si ricercassero gradi sempre maggiori ed infiniti di velocità, seguirebbe che un moto fatto da un punto per linea perpendicolare, dalla sommità altissima di una torre, sarebbe meno veloce che un altro fatto dall’istesso punto per linea declive, grandemente inclinata all’istesso piano; e, per essempio, una pietra che calasse giù a piombo per dritta linea, discenderebbe meno veloce assai di un uomo che per longhissimo e poco arcuato ponte venisse in terra, discendendo quella e questi dalla medesima altezza della torre. La consequenza è chiara: perchè bisogna (secondo voi) levar via i gradi dell’infinita tardità con altri di rispondente velocità; se dunque nella linea inclinata si acquistano sempre gradi di velocità, e parimente nella perpendicolare, in quella tanti saranno di più, quanto che il spazio è più longo; almeno saranno egualmente veloci quei moti, già che l’uno e l’altro hanno superata la quiete tardità infinita e sono pervenuti ad un medesimo segno. Ed essendo queste cose impossibili (anco secondo voi, che minuite la velocità dalla diversità de’ piani acclivi e declivi, ed in ciò dite benenota), séguita che non per la cagione assegnata da voi si velociti il moto. Potrebbe bene la vostra dimostrazione applicarsi per conoscere che si passino nel moto locale parti infinite di spazio, cominciando sempre dalle minori; ma per ciò, indurre più e più velocità non vale, perchè le predette parti si passano in ciascun moto, come vi ho detto. Ma veniamo pur alla sesta.


postille 1

  1. Di grazia, Sig. Rocco, non dite ch’io dica bene, perchè non mi curo del vostro applauso, e stimo sempre più le cose mie quanto più sono da voi sprezzate.