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590 | esercitazioni filosofiche |
Questa obiezzione ha due parti: l’una improvera ad Aristotile che supponga in queste speculazioni il mondo fabricato ed abitato da noi; l’altra, la varia definizion del moto. La prima parte (vi rispondo io) cortesemente ve la concederei; perchè Aristotile, filosofando, non fa il mestiero dell’architetto o del fabro, che contemplando disegnano ed operano, gli effetti de’ quali dipendono dalla conoscenza, non la conoscenza da gli effetti. Esso Aristotile dalle cose naturali esistenti ha preso occasione di investigarne le cause, non che dalla sua cognizione si avesse da prender il disegno o il modello di quelle: Ex sensibilibus facimus scientiam naturalem, diss’egli, et scibile est prius natura quam scìentia. Non sono scienze prattiche queste, Sig. Galileo mio, ma pure speculative, che sono necessariamente prevenute dall’oggetto, come l’effetto dalla propria cagione. Potrei anco dirvi che l’atto dipende dal suo principio, ed in luogo di quello, per nostra facilità, può mettersi; e così, dicendo «Tali sono i moti retti o circolari» è l’istesso che dire «Così era nel lor naturai principio, onde così dovea farsi nella prima origine e disposizione dell’universo». Nè ad Aristotile fu incognita questa osservazione, anzi l’ha espressa al proposito della formazione della Terra, nel secondo del Cielo, al testo 108, con queste parole: Sive igitur facta est, hoc necessarium factam esse modo, sive ingeneràbilis semper manens etc.
Circa la seconda parte di questa obiezzione, vi rispondo che nel moto locale devono considerarsi due parti principali, per definirlo bene: l’una è il spazio, l’altra è il fine; quella concerne la causa materiale recettiva, questa la forma perfezzione; quella è fondamento necessario, questa move all’operazione. Devesi anco avvertire che Aristotile parla di moti naturali, onde ha, consideratamente a questo effetto, premesso qui che la natura in essi sia principio di moto. Sì che la sua intiera definizione è tale: Il moto retto è quello che si fa per linea retta al determinato luogo naturale del mobile, all’insù all’in giù; il circolare, per linea circolare, ma intorno al mezo al suo centro: e così queste due condizioni della definizion del moto si devono prender congiunte, non disgiunte, come fate voi; ed in vero se solo la linea retta bastasse, ogni moto sarebbe naturale, anco il violento, purchè si facesse per questa linea. È retto, dunque, il moto che si fa per linea retta, ma se non tende al termine suo naturale, non sarà naturale; ed io, nella mia filosofia, lo chiamai retto al modo di matematici, e colà ho portato quest’istessa difficultà che voi, e solutala.
La terza obiezzione è circa il supposito che fa Aristotile di un sol moto circolare e di un sol centro; dicendo voi, Sig. Galileo, che «egli ha la mira di voler cambiarci le carte in mano, e di voler accomodar l’architettura alla fabrica, non construir la fabrica conforme a i precetti dell’architettura: che se io dirò che nell’università della natura ci possono esser mille movimenti circolari, ed in conseguenza mille centri, vi saranno ancora mille moti in su ed ingiù.» Ho a questa instanza risposto in parte; cioè che le speculazioni filosofiche dipendono