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586 | esercitazioni filosofiche |
la dottrina di ambidoi i predetti filosofi. Avendo essi, dunque, universalmente trattato di numeri come di principii delle cose, acciò si conoscesse come erano principii e quanti, constituivano i loro concreti, con ordine di opposti, sino al numero denario, ed erano questi: Finito ed infinito, pare ed impare, semplice e multiplice, destro e sinistro, maschio e femina, moto e quiete, retto e curvo, lume e tenebre, bene e male, quadrato e di altra parte longo; e così questi numerati, più tosto che i numeri da essi astratti, erano presi per principii. E circa la posizione di questi numeri concreti erano i Platonici concordi con Pittagorici, eccetto che nella universalità dell’applicazione, conciosia che Platone estendeva queste unità anco all’idee ed alle cose tutte immateriali create, Pittagora solo l’attribuiva alle cose sensibili. Volea per tanto Platone che le unità fossero i primi principii colligati all’entità, o le semplici prime entità intese per unità, e di queste si facessero prima l’idee, come forme dalle quali avesse a derivar l’esser formato o perfetto delle cose composte, ed il magnum e parvum (come dice egli stesso) che fusser la lor materia; onde sempre appare che suppone i fondamenti a i numeri. Il che più manifestamente si vede mentre, parlando dell’anima del cielo e dicendo che consti di numeri, dichiarando che cosa intenda per questi numeri, dice non esser altro (a questo proposito) che i moti ed i circoli del cielo, e tanti esser i numeri quante sono le sfere celesti. Ma se mi diceste: «L’idee, dette unità da Platone, sono pur astratte; dunque così le pone per principii, non già in concreto», vi rispondo che l’idee si chiamano da esso astratte non come il numero dal suo fondamento, ma come l’universale dal particolare, nel quale universale si salva pienamente la natura de’ suoi particolari, come l’umanità astratta o l’esser animail ragionevole dice l’integrità dell’uomo, e non una unità senza altra natura. Chiamava, dunque, unità Platone l’idea, perchè volea che consistesse in una quiddità over essenza indivisibile, esente da ogni generazione, anzi da ogni mutabilità; chiamavano i principii, ambi questi filosofi, numeri, per l’ordine che primieramente ne i numeri si conosce, per la varietà ch’apportavano nel constituir gii effetti, già che ogni unità varia il numero, come ogni principio essenziale il suo composto; nel che dicevano bene, e con essi per simiglianza si accorda Aristotile, onde disse nella sua Metafisica: Species sunt sicut numeri, cioè variabili da essenziali primi principii, come i numeri dalle unità: ed eccovi accennati i misteri de’ Pittagorici e di Platone intorno all’unità ed a i numeri.
Il dir loro che l’intelletto umano sia partecipe di divinità per l’intelligenza de’ numeri, altro non è che dire che l’umana felicità, in quanto concerne la parte intellettiva, consiste nell’intender le cause ed i principii delle cose, come anco ne fu in sentenza scritto: Felix qui potuti rerum cognoscere causas, e nella sua Etica lo concede anco Aristotile, e quasi tutti i più savi. Non sono dunque astratti i numeri, nè per tali astratti ternarii fa le sue prove