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44 dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo

de i movimenti retti, i quali, sì come movendo i corpi ben costituiti gli disordinano, [Moto retto accomodato a ordinar i corpi mal ordinati.]così sono acconci a ben ordinare i pravamente disposti; ma dopo l’ottima distribuzione e collocazione è impossibile che in loro resti naturale inclinazione di piú muoversi di moto retto, dal quale ora solo ne seguirebbe il rimuoversi dal proprio e natural luogo, cioè il disordinarsi. Possiamo dunque dire, il moto retto servire a condur le materie per fabbricar l’opera, ma fabbricata ch’ell’è, o restare immobile, o, se mobile, muoversi solo circolarmente; se però noi non volessimo dir con Platone, che anco i corpi mondani, dopo l’essere stati fabbricati [Corpi mondani mossi da principio di moto retto e poi circolarmente, secondo Platone]e del tutto stabiliti, furon per alcun tempo dal suo Fattore mossi di moto retto, ma che dopo l’esser pervenuti in certi e determinati luoghi, furon rivolti a uno a uno in giro, passando dal moto retto al circolare, dove poi si son mantenuti e tuttavia si conservano: pensiero altissimo e degno ben di Platone, intorno al quale mi sovviene aver sentito discorrere il nostro comune amico Accademico Linceo; e se ben mi ricorda, il discorso fu tale. Ogni corpo costituito per qualsivoglia [Il mobile posto in quiete non si moverà, quando non abbia inclinazione a qualche luogo particolare,]causa in istato di quiete, ma che per sua natura sia mobile, posto in libertà si moverà, tutta volta però ch’egli abbia da natura inclinazione a qualche luogo particolare; chè quando e’ fusse indifferente a tutti, resterebbe nella sua quiete, non avendo maggior ragione di muoversi a questo che a quello. Dall’aver questa [Il mobile accelera il moto andando verso il luogo dove ha inclinazione.]inclinazione ne nasce necessariamente che egli nel suo moto si anderà continuamente accelerando; e cominciando con moto tardissimo, non acquisterà grado alcuno di velocità, che prima e’ non sia passato per tutti i gradi di velocità minori, o vogliamo dire di tardità maggiori: perchè, partendosi dallo stato della quiete (che è il grado di infinita tardità di moto), non ci è ragione nissuna per la quale e’ debba entrare in un tal determinato grado di velocità, prima che entrare in un minore, ed in un altro ancor minore prima che in quello; anzi par molto ben ragionevole passar prima per i gradi piú vicini a quello donde ei si parte, e da quelli a i piú remoti; ma il grado di dove [Quiete è il grado di tardità infinita.]il mobile piglia a muoversi è quello della somma tardità, cioè della quiete. Ora, questa accelerazion di moto non si farà se non quando il mobile nel muoversi acquista[Mobile non si accelera se non quando aquista vicinità al termine.]; nè altro è l’acquisto suo se non l’avvicinarsi al luogo desiderato, cioè dove l’inclinazion naturale lo tira; e là si condurrà egli per la piú breve, cioè per linea retta. Possiamo dunque ragio-