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giornata quarta. 487

dere il viluppo de i tre periodi, annuo, mestruo e diurno, e come le cause loro mostrino di dependere dal Sole e dalla Luna, senza che nè il Sole nè la Luna abbiano che far nulla con l’acqua; negozio, per piena intelligenza del quale a me fa di mestiero una più fissa e lunga applicazione di mente, la quale sin ora dalla novità e dalla difficultà mi resta assai offuscata: ma non dispero, col tornar da me stesso, in solitudine e silenzio, a ruminar quello che non ben digesto mi rimane nella fantasia, d’esser per farmene possessore. Aviamo dunque da i discorsi di questi 4 giorni grandi attestazioni a favor del sistema Copernicano; tra le quali queste tre, prese, la prima, dalle stazioni e retrogradazioni de i pianeti e da i loro accostamenti e allontanamenti dalla Terra, la seconda dalla revoluzion del Sole in se stesso e da quello che nelle sue macchie si osserva, la terza da i flussi e reflussi del mare, si mostrano assai concludenti.

Salv. Ci si potrebbe forse in breve aggiugner la quarta, e per avventura anco la quinta: la quarta, dico, presa dalle stelle fisse, mentre in loro per esattissime osservazioni apparissero quelle minime mutazioni che il Copernico pone per insensibili. Surge di presente una quinta novità, dalla quale si possa arguir mobilità nel globo terrestre, mediante quello che sottilissimamente va scoprendo l’Illustrissimo signor [sig. Cesare Marsilii osserva, la meridiana esser mobile.]Cesare della nobilissima famiglia de i Marsilii di Bologna, pur Accademico Linceo, il quale in una dottissima scrittura va esponendo come ha osservato una continua mutazione, benchè tardissima, nella linea meridiana; della quale scrittura, da me ultimamente con stupore veduta, spero che doverà farne copia a tutti gli studiosi delle maraviglie della natura.

Sagr. Non è questa la prima volta che io ho inteso parlar dell’esquisita dottrina di questo Signore, e di quanto egli si mostri ansioso protettor di tutti i litterati; e se questa o altra sua opera uscirà in luce, già possiamo esser sicuri che sia per esser cosa insigne.

Salv. Ora, perchè è tempo di por fine a i nostri discorsi, mi resta a pregarvi, che se nel riandar più posatamente le cose da me arrecate incontraste delle difficultà o dubbii non ben resoluti, scusiate il mio difetto, sì per la novità del pensiero, sì per la debolezza del mio ingegno, sì per la grandezza del suggetto, e sì finalmente perchè io non pretendo nè ho preteso da altri quell’assenso ch’io medesimo non presto a questa fantasia, la quale molto agevolmente potrei am-