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giornata seconda 157

non sia vera e l’altra falsa, e non si potendo1 per prove della falsa produrr’altro che fallacie, ed essendo la vera persuasibile per ogni genere di ragioni concludenti e demostrative; come volete che quello di voi che si sarà appreso a sostener la proposizion vera non mi abbia a persuadere? Bisognerebbe bene ch’io fussi d’ingegno stupido, di giudizio stravolto, e stolido di mente e d’intelletto, e cieco di discorso, ch’io non avessi a discernere la luce dalle tenebre, le gemme da i carboni, il vero dal falso.

Simp. Io vi dico, e vi ho detto altre volte, che il maggior maestro per insegnare a conoscere i sofismi e paralogismi ed altre fallacie è stato Aristotile, il quale in questa parte non si può mai esser ingannato.

Sagr. Voi l’avete pur con Aristotile, che non può parlare; ed io vi dico che se Aristotile fosse qui, e’ rimarrebbe da noi persuaso, [Aristotile o sciorrebbe gli argomenti contrarii o muterebbe opinione.]o sciorrebbe le nostre ragioni e con altre migliori persuaderebbe noi. Ma che? voi medesimo nel sentir recitar l’esperienze dell’artiglierie, non l’avete voi conosciute ed ammirate e confessate più concludenti di quelle d’Aristotile? con tutto ciò non sento che ’l signor Salviati, il quale le ha prodotte e sicuramente esaminate e scandagliate puntualissimamente, confessi d’esser persuaso da quelle, nè meno da altre di maggiore efficacia ancora, che egli accenna d’esser per farci sentire. E non so con che fondamento voi vogliate riprender la natura, come quella che per la molta età sia imbarbogita ed abbia dimenticato a produrre ingegni specolativi, nè sappia farne più se non di quelli che, facendosi mancipii d’Aristotile, abbiano a intender col suo cervello e sentir co i suoi sensi. Ma sentiamo il rimanente delle ragioni favorevoli alla sua opinione, per venir poi al lor cimento, coppellandole e ponderandole con la bilancia del saggiatore.

Salv. Prima che proceder più oltre, devo dire al signor Sagredo che in questi nostri discorsi fo da copernichista, e lo imito quasi sua maschera; ma quello che internamente abbiano in me operato le ragioni che par ch’io produca in suo favore, non voglio che voi lo giudichiate dal mio parlare mentre siamo nel fervor della rappre-

  1. L’Errata corrige che è in fine dell’ edizione originale, emendando un errore occorso in questo passo, indica che si debba togliere l’e davanti a «non si potendo»; ma nell’esemplare posseduto dalla Biblioteca del Seminario di Padova, nel quale la correzione è eseguita di mano di Galileo, siffatto e non è cancellato.