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assai che di quei che discorron male. Se il discorrere circa un problema difficile fusse come il portar pesi, dove molti cavalli porteranno più sacca di grano che un caval solo, io acconsentirei che i molti discorsi facesser più che un solo; ma il discorrere è come il correre, e non come il portare, ed un caval barbero solo correrà più che cento frisoni. Però quando il Sarsi vien con tanta moltitudine d’autori, non mi par che fortifichi punto la sua conclusione, anzi che nobiliti la causa del signor Mario e mia, mostrando che noi abbiamo discorso meglio che molti uomini di gran credito. Se il Sarsi vuole ch'io creda a Suida che i Babilonii cocesser l'uova col girarle velocemente nella fionda, io lo crederò; ma dirò bene, la cagione di tal effetto esser lontanissima da quella che gli viene attribuita, e per trovar la vera io discorrerò così: "Se a noi non succede un effetto che ad altri altra volta è riuscito, è necessario che noi nel nostro operare manchiamo di quello che fu causa della riuscita d'esso effetto, e che non mancando a noi altro che una cosa sola, questa sola cosa sia la vera causa: ora, a noi non mancano uova, né fionde, né uomini robusti che le girino, e pur non si cuocono, anzi, se fusser calde, si raffreddano più presto; e perché non ci manca altro che l'esser di Babilonia, adunque l'esser Babiloni è causa dell'indurirsi l'uova, e non l'attrizion dell'aria", ch'è quello ch'io volevo provare. È possibile che il Sarsi nel correr la posta non abbia osservato quanta freschezza gli apporti alla faccia quella continua mutazion d’aria? e se pur l’ha sentito, vorrà egli creder più le cose di dumila anni fa, succedute in Babilonia e riferite da altri, che le presenti e ch’egli in se stesso prova? Io prego V. S. Illustrissima a farli una volta veder di meza state ghiacciare il vino per via d’una veloce agitazione, senza la quale egli non ghiaccerebbe altrimenti. Quali poi possano esser le ragioni che Seneca ed altri arrecano di questo effetto, ch’è falso, lo lascio giudicare a lei.

All’invito che mi fa il Sarsi ad ascoltare attentamente quello che conclude Seneca, e ch’egli poi mi domanda se si poteva dir cosa più chiaramente e più sottilmente, io gli presto tutto il mio assenso, e confermo che non si poteva né più sottilmente né più apertamente dire una bugia. Ma non vorrei già ch’ei mi mettesse, com’ei cerca di fare, per termine di buona creanza in necessità di credere quel ch’io reputo falso, sì che negandolo io venga quasi a dar una mentita