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scienza, non veggo quale utilità ne arrecasse alla presente contesa, dove solamente ad hominem ed argumentando ex suppositione,e fatte anco supposizioni sicuramente false, in materie diversissime dal Sole e suo ambiente, si cerca se il concavo lunare, duro e liscio, che tale non è al mondo, girandosi (che pur è un’altra falsità), rapisce seco il fuoco, che forse anch’esso non v’è. Aggiungasi l’altra dissimilitudine grandissima, la quale il Sarsi dice di non saper vedere, anzi la stima una identità, e che egualmente e coll’istessa naturalezza e facilità possa esser ch’un corpo fluido contenuto dentro la concavità d’un solido sferico, il quale si volga in giro, venga da quello rapito, come se il contenuto fusse una sfera solida e l’ambiente un liquido; ch’è quasi l’istesso che se altri credesse, che sì come al moto del fiume vien portata e rapita la nave, così al moto della nave dovesse esser rapita l’acqua di uno stagno, il che è falsissimo: perché, prima, quanto all’esperienza, noi veggiamo la nave, ed anco mille navi che riempissero tutto il fiume, esser mosse al moto di quello, ma all’incontro il corso d’una nave spinta da qualsivoglia velocità non vien seguito da una minima particella d’acqua: la ragion poi di questo non dovrebbe esser molto recondita; imperocché non si può far forza alla superficie della nave, che non si faccia similmente a tutta la macchina, le cui parti, essendo solide, cioè saldamente attaccate insieme, non si possono separare o distrarre, sì che alcune cedano all’impeto dell’ambiente esterno, e l’altre no; il che non avvien così dell’acqua o di altro fluido, le cui parti, non avendo in sé tenacità o aderenza appena sensibile, facilissimamente si separano e distraggono, sì che quel sol velo sottilissimo d’acqua che tocca il corpo della nave vien per avventura forzato ad ubidire al moto di quella, ma l’altre parti più remote, abbandonando le più propinque, e queste le contigue, in piccolissima lontananza dalla superficie si liberano del tutto dalla sua forza ed imperio. Aggiungesi a questo, che l’impeto e la mobilità impressa, assai più lungamente e gagliardamente si conserva ne i corpi solidi e gravi, che ne i fluidi e leggieri: e così veggiamo in un gran peso pendente da una corda, per molte ore conservarsi l’impeto e moto communicatogli una volta sola; ed all’incontro, sia quanto si voglia agitata l’aria rinchiusa in una stanza, non prima cessa l’impeto di quel che la commoveva, ch’ella totalmente si quieta, né ritien punto l’agitazione. Quando, dunque, l’ambiente e movente