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circolo, che voi aveste provata l’una delle due conclusioni per altro mezo. Né mi diciate, avere a bastanza provata l’inegualità di superficie mentre dite che così meglio si collegano le cose inferiori colle superiori, perché per connetterle basta il semplice toccamento, e voi stesso più a basso ammettete l’istessa aderenza ed unione quando bene il concavo sia liscio, e non aspro, tal che frivolissima resterebbe cotal prova. Né di più forza sarebbe l’altra, quando per avventura voi pretendeste d’aver provato il ratto degli elementi superiori perché per cotal moto si fanno quaggiù le generazioni e le corruzzioni, e forse perché per esso viene spinto a basso il fuoco e l’aria superiore, che son pur fantasie fondate appunto in aria; e tardi ci riscalderemmo se avessimo aspettare l’espulsione del fuoco verso la Terra e massime che voi stesso adesso adesso direte ch’ei fa forza all’in su, e che però spinge, e, spingendo, aggrava in certo modo e più saldamente aderisce alla celeste superficie: pensieri e discorsi appunto fanciulleschi, che or vogliono ed or rifiutano le medesime cose, secondo che la sua puerile inconstanza loro detta.
Ma sentiamo con quali altri mezi nel seguente secondo argomento e’ provi l’istessa conclusione. "Sed quid ego adversus Galilæum argumenta aliunde conquiro, quando ea ipse mihi abunde suppeditat? Nihil apud illum verius, quam Lunam non asperam modo esse, sed, alterius Telluris in modum, Alpes suas, Olympum, Caucasum suum habere, in valles deprimi, in campos latissimos extendi, Lunæ certe montes in Luna desiderari non posse. An non cæleste corpus ac nobilissimum est Luna? Numquid non longe nobilius quam cælum ipsum, quo veluti curru vehitur, quod veluti domum inhabitat? Cur igitur Luna tornata non est, sed aspera ac tuberosa? Stellæ ipsæ an non, Galilæo teste, figura varia atque angulari constarit? Quid autem inter sublimes substantias nobilius? Addo etiam, ne Solem quidem, si aspectui credas, hanc adeo nobilem figuram sortitum; dum in illo faculæ quædam conspiciuntur reliquis longe partibus clariores, quæ vel asperum, vel non æque undique lumine perfusum, eumdem ostendunt. Quare si nihil hæc Galilæi ratio persuadet, licetque in concavo lunari asperitatem admittere, nemo, arbitror, negabit, ad eius motum ferri exhalationes atque aërem posse. Asperitatem autem hanc admittendam non esse, non facile probabit Galilæus. Illud hoc loco omittendum non est, quod in Epistola 3 ad Marcum Velserum ipse habet, hoc est, solares maculas fumidos vapores esse, ad motum solaris corporis circumductos. Vel igitur solare corpus politum est ac læve, et non poterit huiusmodi vapores circumferre: vel asperum est et tuberosum, atque ita nobilissimum inter cælestia corpora neque sphæricum est nec politum. Præterea, in Epistola 2 ad eumdem Marcum ait: "Solem circa suum centrum ad ambientis motum rotari; corpus autem ambiens ipso etiam aëre longe tenuius esse debet." Quare, si corpus solare solidum ad motum circumfusi corporis rarissimi et tenuissimi movetur, non video cur postea cælum ipsum solidum motu suo secum rapere non possit corpus inclusum quamvis tenuissimum, quale est sphæra elementaris."
E prima che più avanti io proceda, torno a replicare al Sarsi, che non son io che voglia che il cielo, come corpo nobilissimo, abbia ancora figura nobilissima, qual è la sferica perfetta, ma l’istesso Aristotile, contro al quale si argomenta dal signor Mario ad hominem:ed io, quanto a me, non avendo mai lette le croniche e le nobiltà particolari delle figure, non so quali di esse sieno più o men nobili, più o men perfette; ma credo che tutte sieno antiche e nobili a un modo, o, per dir meglio, che quanto a loro non sieno né nobili e perfette, né ignobili ed imperfette, se non in quanto per murare credo che le quadre sien più perfette che le sferiche, ma per ruzzolare o condurre i carri stimo più perfette le tonde che le triangolari. Ma tornando al Sarsi, egli dice che da me gli vengon abbondantemente somministrati argomenti per provar l’asprezza della concava superficie del cielo, perché io stesso voglio che la Luna e gli altri pianeti (corpi pur essi ancor celesti ed assai più dell’istesso cielo nobili e perfetti) sieno di superficie montuosa, aspra ed ineguale; e se questo è, perché non si deve dire tale inegualità ritrovarsi ancora