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simula di non vedere quello che più volte e molto apertamente v’è scritto, cioè che noi non ammettiamo quella sin qui ricevuta moltiplicità d’orbi solidi, ma che stimiamo diffondersi per gl’immensi campi dell’universo una sottilissima sostanza eterea, per la quale i corpi solidi mondani vadano con lor proprii movimenti vagando. Ma che dico? pur ora mi sovviene ch’egli aveva ciò veduto e notato di sopra, a car. 34, dov’egli scrive: "Cum enim nulli Galilæo sint cælestes Ptolemæi orbes, nihilque, ex eiusdem Galilæi systemate, in cœlo solidi inveniatur." Qui, signor Sarsi, non potete voi mai nasconder di non avere internamente compreso, che il dir noi che il concavo lunare è perfettamente sferico e liscio, sia detto non perché tale lo crediamo, ma perché tale lo stimò Aristotile, contro al quale ad hominem noi disputiamo; perché se voi creduto aveste, ciò essere stato detto di propria nostra sentenza, non ci avereste mai perdonata una tanta contradizzione, di negare in tutto le distinzioni degli orbi e la solidità, e poi ammettere l’una e l’altra: errore di molto maggior considerazione, che tutte l’altre vostre note prese insieme. Vanissimo, dunque, è tutto il restante del vostro progresso, dove voi v’andate ingegnando di provare, il concavo lunare dover più tosto esser sinuoso ed aspro, che liscio e terso: è, dico, vano, né m’obliga a veruna risposta. Tuttavia voglio che (come dice il gran Poeta)

Tra noi per gentilezza si contenda,

e considerar quanta sia l’energia delle vostre prove.

Voi dite, signor Sarsi: "Se alcuno negasse che la concava superficie lunare sia liscia e tersa, in qual modo o con qual ragione si proverebbe in contrario?" Soggiungete poi, come per prova prodotta dall’avversario, un discorso fabbricato a vostro modo e di facile discioglimento. Ma se l’avversario vi rispondesse, e dicesse: "Signor Lottario, posto che gli orbi celesti sieno di materia solida e distinta da quella che dentro al concavo lunare è contenuta, vi dico asseverantemente, doversi di necessità dire, tal superficie concava esser pulita e tersa più di qualsivoglia specchio: imperocché quando ella fusse sinuosa, le refrazzioni delle specie visibili delle stelle, nel venire a noi, farebbono continuamente un’infinità di stravaganze, come accade a punto nel riguardar noi gli oggetti esterni per una finestra vetriata, nella quale sieno vetri altri spianati e puliti, ed altri non lavorati; ché,