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Ma seguitiamo più avanti: "At dicet: verissima hæc quidem esse, si summo geometriæ, iure res agatur; quod tamen in re nostra locum non habet, et cum saltem ad Lunam et stellas intuendas nullo longitudinis discrimine specillum adhiberi soleat, nihil hic etiam ponderis habituram esse maiorem minoremve distantiam ad maius minusve obiecti incrementum inferendum; quare si stellæ minus augeri videantur quam Luna, ex alio deducendam huius phœnomeni rationem, non ex obiecti remotione. Ita sit; et nisi aliunde etiam habeat tubus hic, stellas minus augere quam Lunam, minus fortasse ponderis argumento insit. Dum tamen illud præterea huic instrumento tribuitur, ut luminosa omnia larga illa radiatione, qua veluti coronantur, expoliet, ex quo fit ut, licet stellæ idem fortasse re ipsa capiant ex illo incrementum quod Luna, minus tamen augeri videantur (cum diversum plane sit id, quod tubo conspicitur, ab eo quod nudis prius oculis videbatur: hi siquidem nudi et stellam et circumfusum fulgorem spectabant; tubo vero adhibito, solum stellæ corpusculum intuendum obiicitur), verissimum etiam est, iis omnibus quæ ad opticam spectant consideratis, stellas hoc instrumento, quoad aspectum saltem, minus accipere incrementi quam Lunam, immo etiam aliquando, si oculis credas, nulla ratione augeri, ac, si Deo placet, etiam minui: quod nec ipse Galilæus negat. Mirari proinde desinat, quod stellas insensibiliter per tubum augeri dixerimus: neque enim hic huius aspectus causam quærebamus, sed aspectum ipsum."

Qui noti primieramente V. S. Illustrissima come la mia predizzione, fatta di sopra al numero 14, comincia a verificarsi. Là animosamente s’esibì il Sarsi a mantener, niuna cosa esser più vera del ricrescer gli oggetti veduti col telescopio tanto più quanto più son vicini, e tanto meno quanto più lontani: onde le stelle fisse, come lontanissime, non ricrescesser sensibilmente; ma la Luna, assaissimo, come vicina. Or qui mi pare che si cominci a vedere una gran ritirata ed una confession manifesta: prima, che la diversità delle lontananze degli oggetti non sia più la vera causa de’ diversi ingrandimenti, ma che bisogni ricorrere all’allungamento e scorciamento del telescopio; cosa non detta, né pure accennata, né forse pensata, da loro avanti l’avvertimento del signor Mario: secondo, che né anco questo abbia luogo nel presente caso, atteso che niuna mutazione si faccia nello strumento, sì che, cessando questo rifugio ancora, l’argomento che sopra ciò si fondava resti invalido totalmente. Veggo, nel terzo luogo, ricorrere a cagioni lontanissime dalle portate da principio per vere e sole, e dire che il poco ricrescimento apparente nelle fisse non dependa più né da gran lontananza d’esse né da brevità di strumento, ma che è un’illusione dell’occhio nostro, il quale libero vede le stelle con un grandissimo irraggiamento non reale e che però ci sembrano grandi, ma collo strumento si vede il nudo corpo della stella, il quale, ben che ringrandito come tutti gli altri oggetti, non però par tale, paragonato colle medesime stelle vedute liberamente, in relazion delle quali l’accrescimento par piccolissimo: dal che ei conclude che almeno quanto all’apparenza le stelle fisse pur mostrano di ricrescer pochissimo, perloché io non mi devo maravigliare ch’eglino ciò abbiano detto, poi ch’ei non ricercavano la causa di tale aspetto, ma solamente l’aspetto istesso. Ma, signor Sarsi, perdonatemi: voi, mentre cercate di rimuovermi la meraviglia, non pur non me la levate, ma con altre nuove cagioni me la moltiplicate assai.

E prima, io non poco mi meraviglio nel vedervi portar questo precedente discorso con maniera dottrinale, quasi che voi lo vogliate insegnare a me, mentre l’avete di parola in parola imparato voi dal signor Mario; e di più soggiungete ch’io non nego queste cose, credo con intenzione che nel lettore resti concetto ch’io medesimo avessi