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266 avvertimento.

dapprima in animo di dirigere ad un ecclesiastico regolare1 (potrebb’essere, al P. Castelli), ma che poi si risolse ad intestare alla Granduchessa Madre, e perchè questa aveva dimostrato di prendere vivo interesse all’argomento, e forse perchè il Castelli gliela dipingeva come non aliena dalle idee che nella lettera stessa erano propugnate. Dai passi or ora citati risulta manifesto che anche questa lettera si deve attribuire al 1615, sebbene non se ne possa indicare con più precisione la data2: e quantunque essa non fosse allora pubblicata per le stampe, fu però diffusa manoscritta3. Galileo vi riunisce e vi svolge largamente quanto già aveva esposto nella lettera al Castelli e nelle due al Dini, dalle quali ripete talora non solo i concetti, ma quasi identiche le parole.

Non è qui il luogo di narrare particolarmente la storia del procedimento che, dopo la denunzia del Lorini, erasi intanto iniziato a Roma contro la dottrina della mobilità della Terra: e per il nostro proposito basterà ricordare che Galileo, ben comprendendo, nonostante le ripetute assicurazioni degli amici suoi, la gravità della questione, tra la fine del novembre e il principio del dicembre 1615 partì per la città eterna, con la speranza di poter difendere meglio colà la causa alla quale egli era così strettamente legato. Le corrispondenze del tempo ci mostrano Galileo, che in Roma, presso i personaggi più cospicui e «in ragunanze d’uomini d’intelletto curioso», discorre intorno all’opinione del Copernico, e fa «pruove maravigliose» contro gli oppugnatori che cercano di atterrarlo4: che anzi, poichè le confutazioni orali non riuscivano il più delle volte efficaci,«alcuni punti» scrive egli stesso a Curzio Picchena da Roma il 23 gennaio 16165 «alcuni punti mi bisogna distendergli in carta, e procurare che segretamente venghino in mano di chi io desidero, trovando io in molti luoghi più facile concessione alle scritture morte che alla voce viva». Anche in altre lettere di quei giorni Galileo accenna che egli non propone «mai cosa alcuna che ... non la dia anco in scritture»6, e che quello che egli ha operato «si può sempre vedere dalle sue scritture, le quali per tal rispetto conserva»7. Tre di tali scritture

  1. Vedi più avanti, a pag. 275.
  2. Scopo di tutta la lettera è di prevenire la condanna del sistema Copernicano, del quale Galileo parla come di opinione di cui si discute ancora se sia da dannarsi (cfr. pag. 311, lin. 31-32; pag. 343, lin. 11-15, e passim): è perciò manifesto che la lettera è anteriore al 5 marzo 1616, nel qual giorno fu pubblicato il decreto della Congregazione dell'Indice che proibiva l'opera del Copernico. Nella lettera a Fra Fulgenzio Micanzio del 28 giugno 1636 (Cod. Marciano Cl. X, num. XLVII, car. 2), Galileo dice che la scrittura«a Madama Serenissima» fu fatta da lui «venti anni sono».
  3. Forse però non ebbe grande diffusione, come fa credere il fatto del non trovarla menzionata nel Processo del 1615-1616; ove ciò non sia avvenuto per un riguardo verso la persona alla quale era diretta.
  4. Lettere di Mons. Antonio Querengo al Card. Alessandro d'Este, dei 30 dicembre 1615 e 20 gennaio 1616, nei Mss. Galileiani, Par. I, T. XV, car. 38 e 56.
  5. Mss. Galileiani, Par. I, T. IV, car. 61.
  6. Lettera a Curzio Picchena, da Roma, 20 febbraio 1616, nei Mss. Galileiani, Par. I, T. IV, car. 65.
  7. Lettera a Curzio Picchena, da Roma, 6 marzo 1616, nei Mss. Galileani, Par. VI, T. V, car. 53. E nella lettera, pure al Picchena, in data di Roma, 26 marzo 1616, scrive: «quanto ho detto, l'ho prodotto sempre con scritture, delle quali restano copie appresso di me» (Mss. Galileiani, Par. I, T. IV, car. 67).