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intorno alle macchie solari ecc. | 227 |
oscurano tal volta per poche ore nell’ombra di quello, come la Luna in quella della Terra: hanno i lor moti regolatissimi ed i lor periodi certi, li quali se egli non ha potuto investigare, forse non vi si è affaticato quanto me, che dopo molte vigilie pur li guadagnai, e già gli ho palesati con le stampe nel proemio del mio trattato Delle cose che stanno su l’acqua o che in quella si muovono, come V. S. ara potuto vedere; ed acciò che Apelle possa tanto maggiormente deporre ogni dubbio, io mando a V. S. le costituzioni future per due mesi, cominciando dal dì primo di Marzo 1613, con le annotazioni de i progressi e mutazioni che d’ora in ora son per fare, le quali egli potrà andar incontrando, e troveralle rispondere esattamente, se già non mi sarà per inavvertenza occorso qualche errore nel calcolarle. Desidero appresso, che con nuova diligenza torni ad osservarne [Medicee sono solamente 4.
Della quinta proposta da Apelle.] il numero, che troverà non esser più di 4: e quella quinta che e’ nomina, fu senz’altro una fissa, e le conietture dalle quali e’ si lasciò sollevare a stimarla errante, ebbero per lor fondamento varie fallacie; conciosia cosa che le sue osservazioni, primieramente, sono errate bene spesso, come io veggo da’ suoi disegni, perchè lasciano qualche stella che in quelle ore fu cospicua; secondariamente, gl’interstizzi tra di loro e rispetto a Giove sono errati quasi tutti, per mancamento, com’io credo, di modo e di strumento da potergli misurare; terzo, vi sono grandi errori nella permutazione delle stelle, scambiandole il più delle volte l’una dall’altra e confondendo le superiori con l’inferiori, senza riconoscerle di sera in sera; le quali cose gli sono state causa dell’inganno.
La stella D, notata nella figura delli di Marzo, fu quella che descrive il cerchio maggiore intorno a Giove, ed allora si ritrovava nella massima digressione, cioè nella sua media longitudine, e quasi stazionaria, e lontana da Giove circa a 15 minuti (che tanto è il se-
- ↑ Alla mutazione introdotta nella stampa accenna Federico Cesi nella sua lettera a Galileo in data del 23 dicembre 1612, dove scrive: «Nella faccia 53 ho fatto accomodare come avisa». La lezione dei cod. A e B, che registriamo tra le varianti, si legge nel cod. B appunto alla faccia segnata originariamente 53.