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io ancora esser così, acciò che i dannati dei gradi più bassi, dove sono maggiori tormenti, come ci insegnò ’l Poeta nel principio del 5° canto:

Così discesi del cerchio primaio
Giù nel secondo, che men luogo cinghia,
E tanto più dolor, che punge a guaio;

acciò che, dico, essi dannati inferiori non possino scappare e fuggirsi a i gradi più alti, in minor tormenti: e questo par che abbia voluto intender Dante ponendo a ciascun luogo, dove dall’un grado all’altro si sale, a guardia un demonio.

Non può dunque essere, considerato quanto al tutto, l’Inferno di Dante di tale architettura, né di sì piccola grandezza, come dal Vellutello è stato finto; il che, oltre alle ragioni addotte, proviamo ancora per l’istesso Dante, dico quanto alla grandezza. Che se l’Inferno non è più profondo che la decima parte del semidiametro della terra, come esso vuole, avendo Virgilio condotto Dante al primo cerchio, a che proposito gli dice, sollecitandolo ad affrettare il passo:

Andiam, che la via lunga ne sospinge.
Così si mise e così mi fé entrare
Nel primo cerchio che l’abisso cinge.

Se dunque Virgilio chiama la via, che aveano a fare, lunga, non può intendere che la sia lunga se non rispetto a quella che pur allora aveano camminata; il che se è così, non sarà il viaggio fatto 9 volte maggiore di quello che a fare aveano, e per consequenza l’Inferno, per il quale aveano a calare al centro, non sarà così piccolo come vuole il Vellutello.

Qui ci potrebbe essere opposto che né l’Inferno si deve credere esser così grande come il Manetti lo pone; essendo che, sì come alcuni hanno sospettato, non par possibile che la volta che l’Inferno ricuopre, rimanendo sì sottile quant’è di necessità se l’Inferno tanto si alza, si possa reggere, e non precipiti e profondi in esso Inferno; e massime, oltre al rimanere non più grossa dell’ottava parte del semidiametro, che sono miglia 405 incirca, essendovi ancora da levarne per lo spazio della grotta degli sciagurati, ed essendoci molte gran profondità di mari.