Pagina:Le opere di Galileo Galilei IV.djvu/241


di giorgio cortesio. 237

il bisogno; e non niego però che potessero essere a tempo. Ma, di grazia, usciamo delle pazzie tanto espresse.

Dice l’Autore, che s’inganna Aristotile non avvertendo che i medesimi corpi sono men gravi nell’acqua che nell’aria, e però si sosterranno più facilmente in quella che in questa. S’inganna ben egli doppiamente: prima, perchè non ha inteso Democrito, il quale non attribuiva il sostenere all’acqua, ma a quei calidi solamente, e però il sostenere più nell’acqua che nell’aria non fa a proposito di Democrito; dipoi, perchè non vuole la resistenza posta da Aristotile, senza la quale non si può render ragione perchè una cosa pesi più nell’aria che nell’acqua, perchè altrimenti un corpo dovunque sia posto ha la medesima gravità.

Adesso l’Autore si sforza a confutare Democrito, non stimando in nessuna maniera la riprensione d’Aristotile centra Democrito. Onde dice che «se gli atomi caldi ascendenti nell’acqua sostenessero un corpo che, senza ’l loro ostacolo, andrebbe al fondo, ne seguiterebbe che noi potessimo trovare una materia pochissimo superiore in gravità all’acqua, la quale, ridotta in una palla o altra figura raccolta, andasse al fondo, come quella che incontrasse pochi atomi ignei, e che, distesa poi in una ampia e sottil falda, venisse sospinta in alto dalle impulsioni di gran moltitudine de’ medesimi corpuscoli, e poi trattenuta al pelo della superficie dell’acqua; il che non si vede accadere, mostrandoci l’esperienza che un corpo di figura, v. g., sferica, il quale a pena e con grandissima tardità va al fondo, vi resterà e vi discenderà, ancora ridotto in qualunque altra larghissima figura. Bisogna dunque dire, o che nell’acqua non sieno tali atomi ignei ascendenti, o, se vi sono, che non sieno potenti a sollevare e spignoro in su alcuna falda di materia che, senza loro, andasse al fondo. Delle quali due posizioni io stimo che la seconda sia vera, intendendo dell’acqua costituita nella sua naturai freddezza: ma se noi piglieremo un vaso, di vetro o di rame o di qualsivoglia altra materia dura, pieno d’acqua fredda, dentro la quale si ponga un solido di figura piana o concava ma che in gravità ecceda l’acqua così poco che lentamente si conduca al fondo, dico che, mettendo alquanti carboni accesi sotto il detto vaso, come prima i nuovi corpuscoli ignei, penetrata la sustanza del vaso, ascenderanno per quella dell’acqua, senza dubbio, urtando nel solido sopradetto, lo spigneranno sino alla superficie dell’acqua, e quivi lo tratterranno, sin che dureranno le incursioni de’ detti corpuscoli; le quali cessando dopo la suttrazion del fuoco, tornerà il solido al fondo, abbandonato da’ suoi puntelli».

Intorno alle parole del Galilei è da notare che egli, primieramente, erra volendo che la figura ampia e larga, che tocca il fondo, abbia da esser sollevata da quelli atomi caldi, che nell’acqua, secondo l’opinione di Democrito, si ritrovano in pochissima quantità; perchè fra la superficie della figura larga e la parte della superficie della terra, che si toccano fra loro, non può esser quantità bastante a muovere tali figure in su. Di poi erra, perchè potrebbe confutare Democrito con il