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226 operetta intorno al galleggiare ecc.

mezzo sostenerlo, ma se sarà di figura piana, sarà da più parti sostenuto; e per questo sarà men grave in questa che in quella figura, non altrimenti che più uomini da un medesimo peso vengono meno aggravati che i pochi.

Dice di poi, esser falsa la dottrina d’Aristotile e degli avversari «cioè che la tavoletta resti a galla per la impotenza di fendere e penetrare la resistenza della crassizie dell’acqua; perchè manifestamente apparirà, le dette falde non solo aver penetrata l’acqua, ma esser notabilmente più basse che la superficie di essa. Si risponde che non si farà, quant’al presente, differenza nessuna tra lo spingere ed il penetrare, se bene alcuni la fanno, avendo opinione che il quattrino o l’ebano più tosto faccia l’acqua essere spinta in giù che penetrata: ma questo poco importa, io perchè si chiama galleggiare il rimanere su l’acqua, cioè non profondandosi il corpo sotto l’acqua: per la qual causa non già si niega mai il subintrare alquanto, secondo le parti, il corpo galleggiante per ragione della maggiore o minore partecipazione terrena, che ricerca proporzionate parti del mezzo a sostenere le parti terrestri; altrimenti si negherebbe anco che i legni stiano su l’acqua, poi che anco quelli subentrano, secondo le parti, nell’acqua: ma sia, di grazia, la nostra disputa del galleggiare, il che vuol dire «non profondarsi tutto il corpo sott’acqua».

Va di poi dicendo: «Ma se ella ha già penetrata e vinta la continuazione dell’acqua, ed è, di sua natura, della medesima acqua più grave, per qual cagione non seguita ella di profondarsi, ma si ferma e si sospende dentro a quella piccola cavità che co ’l suo peso si è fabbricata nell’acqua? Rispondo: perchè nel sommergersi sin che la sua superficie arriva al livello di quella dell’acqua, ella perde una parte della sua gravità, e ’l resto poi lo va perdendo nel profondarsi e abbassarsi oltre alla superficie dell’acqua, la quale intorno intorno le fa argine e sponda; e tal perdita fa ella mediante il tirarsi dietro e far seco discendere l’aria superiore e a sé stessa, per lo contatto, aderente, la qual aria succede a riempiere la cavità circondata da gli arginetti dell’acqua; sì che quello che, in questo caso, discende e vien locato nell’acqua, non è la sola lamina tavoletta d’ebano o di ferro, ma un composto d’ebano e d’aria, dal quale ne risulta un solido non più in gravità superiore all’acqua, come era il semplice ebano o ’l semplice oro». Per risposta dirò, come l’Autore si fida troppo nell’aria, refugio troppo debole; e pur sa che la natura non se ne cura troppo, che l’ebano il quattrino altre cose simili stiano a galla, essendo questo effetto della volontà vero arte, che spesso si oppone alla natura, con questo che anco la imita: per il che la natura non arebbe dato all’aria tal proprietà, contro il suo ordine e contro la natura dell’aria istessa, di sostenere su l’acqua le parti terrestri. E che sia contro la sua natura, è manifesto: poi che l’aria più conviene, per ragione dell’umidità, con l’acqua che con la terra, contraria a essa tanto nella qualità attiva come passiva; onde la terra più tosto sarebbe scacciata che ritenuta, come impedimento dell’ordine della natura. Diamolo, dunque, alla resistenza dell’acqua;