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di giorgio cortesio. 225

Dice di poi: «Eleggasi un legno o altra materia, della quale una palla venga dal fondo dell’acqua alla superficie più lentamente che non va al fondo una palla d’ebano della stessa grandezza, sì che manifesto sia che la palla d’ebano più prontamente divida l’acqua discendendo, che l’altra ascendendo; e sia tal materia, per esemplo, il legno di noce. Facciasi dipoi un’assicella di noce simile ed eguale a quella d’ebano degli avversari, la qual resta a galla: e se è vero che ella ci resti mediante la figura, impotente, per la sua larghezza, a fender la crassizie dell’acqua, l’altra di noce, senza dubbio alcuno, posta nel fondo, vi dovrà restare, come manco atta, per lo medesimo impedimento di figura, a dividere la stessa resistenza dell’acqua». Rispondo, secondo il maestro del Galilei, che l’acqua scaccia in su le cose più leggieri d’essa; e però la figura, non avendo nessuna natura in suo aiuto, non può fare la quiete, come la fa nelle cose più gravi d’essa acqua, avendo il mezzo cooperante per non dividersi. Rispondo, di più, che, secondo il Gallilei, ogni solido penetra l’acqua; onde sarà necessario, per levare il vacuo, che l’acqua sottentri alle cose leggieri e le mandi in su per coltello, il che non interviene nelle cose più gravi dell’acqua. Rispondo anco, che la cosa leggiera non può stare nel fondo, per qualunque commozione che si faccia nell’acqua ne l’intrare il corpo e poi nel ritornare l’acqua nel proprio luogo, le quali parti cercano riunirsi; non così nella parte di sopra, per ragione della siccità.

Segue l’Autore che «dell’andare a fondo la tavoletta l’ebano o la sottil falda d’oro, ne è cagione la sua gravità, maggiore di quella dell’acqua, e del galleggiare la sua leggierezza, la quale, per qualche accidente forse sin ora non osservato, si venga a congiungere con la medesima tavoletta, rendendola non più, come prima era, mentre si profondava, più grave dell’acqua, ma meno; e tal nuova leggierezza non può dependere dalla figura, sì perchè le figure non aggiungono o tolgono il peso, sì perchè nella tavoletta non si fa mutazione nessuna della figura, quando ella va al fondo, da quella che l’aveva mentre galleggiava». Qui si contengono più dubbi che parole. Primo, già si è dimostrato che anco le cose più gravi dell’acqua galleggiano in essa; onde non è vero quel che si dice, che ne sia cagione la leggerezza, la quale meglio si diceva minor gravezza. Quell’accidente, poi, che si dice fin ora non osservato, dall’Autore forse non è osservato, ma gli altri sanno esserne cagione la figura: la quale assolutamente non muta il peso; ma che ella non trattenga la tavoletta, si niega, e tocca a lui provarlo; il che non fece, sì come si è dimostrato, e però per il principio il Galilei nostro. E per dare in questa parte qualche sodisfazzione, quando si dice che la figura non dà né toglie peso, bisogna avvertire che il peso si può intendere in due modi: al quanto della gravità del corpo in sé stesso, alla quale non importa la figura, perchè un corpo sotto qualsivoglia figura sarà sempre del medesimo peso; o vero in quanto al mezzo, rispetto il quale la figura senza dubbio fa riuscire il corpo più o meno grave: perchè se sarà di figura sferica, toccherà a poca parte del