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546 difesa contro alle calunnie ed imposture

reputazion di quello), era bisogno discorrer sopra le dette cose, venni finalmente a diverse interrogazioni, le quali egli non potette risolvere; onde a molti gentil uomini di diverse nazioni, che si trovorno presenti, restò palese e chiaro, coqie non poteva essere che il Fiammingo non avesse cavato dal mio Strumento quello che era di commune nell’uno e nell’altro. Della qual verità ne sono qui appresso le fedi di due di quelli che furono presenti al detto cimento.


1607. Adì 14 Aprile, in Padova.


Per piena fede della verità affermo io Giacomo Alvise Cornaro, come sono circa quattro anni che venne a Padova un tale Giovanni, Fiammingo, il quale haveva un compasso con alcune divisioni simili ad alcune che si trovano sopra il Compasso Geometrico et Militare del Signor Galilei Galileo, Matematico: il che essendo pervenuto all’orecchie di detto Galilei, et più sentendo come detto Fiammingo asseriva non haver veduto il detto compasso del detto Galilei, et più sentendo il medesimo Galilei che alcuni, per detrarre alla sua fama, andavano parlando che poteva essere che ’l Galilei havesse presa la sua inventione dal Fiammingo, se bene esso Galilei cinque anni avanti haveva fatto vedere il suo strumento et fattone fabricar molti in questa terra, per levare ogni mal’ombra di sospetto, si risolse di far chiamare il Fiammingo in casa mia col suo compasso in presenza di molti Gentil’huomini; et incontrandolo col suo, prima fece vedere che vi erano alcune diversità, et poi, che in quello che erano conformi, il Fiammingo lo haveva preso da quello del Galilei, poi che facendoli esso Galilei molte interrogationi et quesiti circa le operationi di detto compasso, non seppe il Fiammingo distrigarsi altrimente, anzi apertamente restò manifesto come detto Fiammingo haveva preso dal Galilei. Et a questo furno presenti mólti di diverse nazioni, et fra gli altri, che solo di quelli qui si ritrova, è il Sig. Cavalier Pompeo dè Conti da Pannichi. In fede della qual verità ho fatto la presente di mia propria mano, sigillata con il mio sigillo.


Idem qui supra.


Io Pompeo dè Conti di Pannichi fui presente a quanto è di sopra.


All’altra risposta del Capra, ciò è che a lui solo, e non ad altri, toccava ad esser interprete delle sue parole, risposi, che questo saria stato vero quando la sentenza o la costruzione delle parole fusse inintelligibile, sì che da gli altri non se ne potesse trar senso; ma che