lare. Onde qui mi fu necessario raccontare l’istoria del Fiammingo, e non, come disse il Capra, Alemanno, che fu un tal Giovanni Eutel Zieckmeser: il quale, cinque anni dopo che ebbi ritrovato e cominciato a publicare il mio Strumento, sì che a quel tempo ne erano già andati attorno per diverse provincie più di 40, arrivò in Padova; ed avendo uno Strumento nel quale aveva trasportate alcune linee cavate dal mio, ed altre tralasciatene, ed in luogo di quelle aggiuntevene alcune altre, e per avventura non sapendo che in Padova si ritrovava il primo e vero inventor di tale Strumento, s’incontrò con il Sig. Michel Victor Vustrou di Bransvich, mio scolare, il quale da me già aveva appreso l’uso del mio Strumento; e dicendogli di avere una mirabile invenzione, lo messe in desiderio di volerla vedere, e finalmente gli mostrò quello Strumento, il quale subito fu riconosciuto dal detto gentil uomo, che immediate a me, che ero in letto indisposto, lo fece sapere; e di lì a pochi giorni si partì di Padova. Io, come prima fui risanato, sentendo come già i miei emuli, e sopra tutti il mio antico avversario, si erano aperta la strada al mordermi e lacerarmi con l’occasione della venuta di questo Fiammingo e dello Strumento che seco aveva, e già spargevano voce che l’invenzione di quello Strumento poteva non esser mia, contro a quello che sempre avevo detto, ma presa dal Fiammingo; fui forzato a procurar, ben che con grandissima difficultà, di far che il detto Fiammingo si abboccasse meco, acciò che da tal congresso si facesse palese a chi avesse voluto saperlo, qual di noi fosse il legittimo inventore di questo Strumento: poi che esso, per le parole dette da lui nel suo primo arrivo in Padova, si era quasi messo in necessità di mantener sè esserne autore, il qual concetto, quando fosse restato impresso nel popolo, come già i maligni avevano procurato di fare, saria stato troppo pregiudiciale all’onor mio. Finalmente, dopo molte repulse, si lasciò persuadere a comparire in casa dell’Illustrissimo Sig. Iacop’Alvigi Cornaro: dove primieramente disse, non aver mai asserito che io avessi tolta la mia invenzione da lui, anzi che ciò non era possibile, non avendo egli dato il suo strumento ad alcuno; dipoi mostrò il suo strumento in molte cose molto differente dal mio; ma soggiungendoli io, che in quelle cose, che pur erano molte, nelle quali il suo strumento conveniva col mio, era necessario che un di noi avesse preso dall’altro, e che però, acciò che la verità venisse in luce (e questo a confusione de i miei emuli, e non a diminuzione della