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522 difesa contro alle calunnie ed imposture

studiosi del medesimo autore, potevano avere appresa la modestia da quello, il quale, volendo inserir ne’ suoi scritti alcune cose di un amico suo, che ancor viveva, e pure in materia della nuova Stella di Cassiopea, prima ne ricercò il consenso da lui, e poi, dovendole addurre, premesse a quelle in sua scusa queste parole: Scio etiam bona authoris venia id fieri, ut nonnulla, licet non publicata, immisceam, ipsemet enim per literas id mihi libenter concessit; e pure non adduceva tali cose per biasimarle o contradirli. Ma perchè devo io dubitare se il Capra sapessi, queste azioni esser di pessima creanza? anzi è pur chiara cosa ch’egli ha stimato atto ancora di malignità il porsi a mordere le cose da i suoi proprii autori già stampate e publicate, dolendosi egli nel principio de i suoi Tirocinii Astronomici della temerità de i critici, e scrivendo queste parole: Quandoquidem in hac vitae tragicomoedia ea est humanae miseriae calamitas, ut si quis iuvandi mortales studio, vel ab amicis impulsus aliquid publici iuris faciat statini non desint, qui illum vel iute vel iniuria carpere velint, etc. Ma, oh vista umana di talpa ne’ proprii difetti, di aquila e di serpente nell’altrui operazioni, oh mente nostra offuscata ed affascinata da i proprii affetti ed interessi! Biasima questo poverello nella corruttela di questo nostro secolo le vigilanti insidie de i critici, che sempre in guisa di rapaci avvoltoi stanno su le ali apparecchiati per buttarsi addosso a i parti novelli appena usciti di sotto le penne de i padri loro, e lacerargli co i mordaci rostri, e battergli co i pungenti artigli, sì che, per loro oppressi nel primo volo, non possino spiegar le ali verso il cielo, e goder gli spaziosi campi dell’aura popolare; e non si accorge come egli, stimolato da vie più fameliche brame, trapassa ne gli altrui nidi, e rompendo la scorza de i parti ancora non nati, lacera i piccoli figli, le cui tenere membra, per meglio formarsi, invigorirsi e consolidarsi, sotto l’amato caldo del paziente padre venivano ancora covate. Biasima dunque in altri il Capra la mordacità contro le opere già da i loro proprii autori stampate, e tollera in sè stesso la impazienza di non poter aspettar che io stampi le mie; anzi spinto da bramosità di lacerarle, impaziente e pauroso pur di perdere sì belle occasioni, si risolve arditamente a publicarle, e dilaniarle poi egli medesimo.

Questa è veramente, giudiziosi lettori, audacia grandissima; ma pure piccola, tollerabile e scusabile la rende un’altra temerità immensa, e per avventura senza esempio, usata contro di me da costui: