Pagina:Le opere di Galileo Galilei II.djvu/329

326 dialogo de cecco di ronchitti
[Loren. cap. 6.]Ma. E pure ello el dise a l’incontragio.

Na. Mo el gh’arzonse que gi è (al nostro parere) massa pecchenine, per[Loren. cap. 6.] cattarghe el mezzonota.

Ma. Sì, el dise an questa? e quattro tonca, in t’on boccòn. dime on può tì. à comuò poristo fallar pì, a dar in mezo d’on fondo da tinazzo, o d’on tagiero? a dighe de mostrarlo.

Na. Potta, a porae fallar d’on bel puoco pì in t’el fondo da tinazzo, che in t’el tagiero.

Ma. E si el bon dottore dal librazzuolo dise a l’incontragio. Va mò drio, de sta Prealasse.

Na. Mo no se podanto smirare de [Loren. cap. 6.] mezo fuora à le stellenota, no se pò saere on le sippia (diselo) perche no se vè el luogo de drioghe.

Ma. Ste mettissi el to gabban su ’n graile de la me scala da man, e che ’l lo scondesse tutto; saeristo catturme sù quale el foesse?

Na. Poò, l’è on gran fare. a scomenzerae à dire, uno, e dù, e trì, inchinda, ch’a foesse live, e quando hesse ditto, con sarae à dire, nuove, e ch’a veesse, che in sù quell’altro ghe fosse el gabbàn, a dirae, que l’è su’l diese mi. no vala cosi?

Ma. Mo la no pò essere altramen ella, e così anche se ven à fare in lo Cielo, se ben quel letranello non s’in sà adare. L’è ben pì grosso, che n’è el torazzo de Cremona vè; che i dise, que l’è sì grandenissemo.

Ma. Eppure lui e’dice all’incontrario.

Na. Egli vi aggiunge che sono (a nostro vedere) troppo piccinine per trovargli il mezzo.

Ma. Sì? egli dice anco questa? e quattro dunque in un boccone. Dimmi un po’ tu. Come potresti sbagliar più, a dar nel mezzo d’un fondo di tino, o d’un tagliere? io dico, a indicarlo.

Na. Caspita! i’ potrei sbagliare d’un bel poco più nel fondo del tino, che nel tagliere.

Ma. Eppure il buon dottore del libricciuolo dice all’incontrario. O séguita pure di questa parallasse.

Na. Gua’, non potendosi vedere attraverso le stelle, non si può sapere dove le siano (dice lui), perchè non gli si vede il di dietro.

Ma. Se tu mettessi il tuo gabbano sopra un gradino della mia scala a mano, e ch’e7 lo nascondesse tutto, sapresti tu trovarmi su quale e7 fosse?

Na. Poh, ci vuol di molto! i’ comincerei a contare uno, due, tre insino a che fossi lì, e quando avessi detto, come sarebbe a dire, nove, e ch’i’vedessi che in su quell’altro ci fosse il gabbano, i’direi che gli è sul decimo, io. La non è così?

Ma. Eh la non può essere altrimenti, lei: e così pure si viene a fare nel Cielo, sebbene quel letteratello non se ne sa capacitare. Ma sai che gli è più grosso che non è il torrazzo di Cremona, che dicono che gli è così grandissimo.
6, 8, 10, 24. un

12

  1. «e anchora avegna che nella Luna il Centro humanamente trovar si potesse, come quella, che ci appare non di poca grandezza (nulla dico del Sole per trovar il cui Centro, l’huomo ha mestieri d’un occhio d’Aquila, che sola, dicesi, che per entro quello affissa la vista) non di meno ne gli altri Pianetti, per la loro a noi parvente picciolezza, tengo che ’l centro pigliar non si possa.» (Discorso, ecc., car. 11A r. e v.)
  2. «per lo che. come di sopra accennavamo, la dimostratone de gli Mathematici manca; e di vero in qual modo vorrann’eglino, che noi con la vista trapassiamo per lo centro d’un Pianeta? conciosiacosa che pigliare il centro, così di lontano, sia cosa impossibile.» (Discorso, ecc., car. 11a v.)