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dire, fatto lotomia; faellanto, e desbutanto cò quanti disea, che la n’iera in Cielo; que se ben a no ve n’adavi, mendecao a me ve cazzava in le coste mi, e si a ve sentia, e si (se miga a n’hò un celibrio spelucativo, com’hà de gi altri) a tegnia mente a zò cha disivi. Tonca mò, per que adesso a gi ho smessiè tutte a uno in sti scartabieggi, fè conto, ch’a m’hò mettù el vostro gabban, se ’l parerà bon, a ghe n’harì vù l’hanore. ma se, pre mala desgratia, el ghe foesse qualche scagarello (ch’a no ’l crezo) que olesse sbregarmelo, el ve toccherae mo anche a darme alturio, sipianto che l’è vostro. Caro Paròn habbieme per recomandò, ch’a priegherè pò sempre an mi, Domenedio, que ve daghe vita longa, e sanitè.






Da Pava a l'ultimo de Feveraro, del mille,
e sie cento, e cinque.



Serviore della vostra Segnoria

Cecco di Ronchitti.

verso mondo, in quanto a dire dove la sia, n’avete, per mo’ di dire, fatta no-tomia, parlando e disputando con quanti dicevano che la non era in Cielo; e sebbene non ve n’addavi, nientedimeno mi vi cacciavo alle costole io, e vi stavo a sentire, e così (sebbene non abbia un cervello speculativo, come hanno degli altri) ponevo niente a ciò che dicevi. Ora dunque, perchè adesso io le ho messe tutte insieme in questi scartabelli, fate conto, ch’io mi sia infilato il vostro gabbano: se farà figura, l’onore sarà vostro; ma se per mala sorte ci fosse qualche cacherello (che non Io credo) che volesse stracciarmelo, e’ vi toccherà allora anche a darmi aiuto, una volta che gli è vostro. Caro Padrone, abbiatemi per raccomandato, chè anch’io pregherò poi sempre Domineddio che vi dia vita lunga e sanità.


Da Padova, l’ultimo di Febbraio del mille
e seicento e cinque.


Servitore della Signoria Vostra

Cecco de’ Ronchitti.

8-9. smeffiè — 12. per — 15. altutio