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CAPITOLO XXXI.

Settima veduta e fine del sogno.


Questa volta non era una stanza che mi si mostrava, ma invece un magnifico grandioso teatro. In mezzo al sipario che copriva il palco scenico, erano scritte a lettere cubitali miniate d’oro, le seguenti parole:


IL TERRIBILE CASTIGO

CON CUI LA DIVINA GIUSTIZIA PUNISCE

I CALUNNIATORI E GLI SPERGIURI

— Vuoi tu vedere la scena? dimandommi il genio.

— Sì! la vedrò volentieri.

Il vecchio distese e allungò il braccio destro, e colla mano prese un bellissimo nastro di seta cremisi, fregiato e messo a oro, che pendeva lungo uno stipite della porta, e lo squillo di un campanello si fece tosto sentire nell’interno delle scene. D’un tratto s’alza il sipario e mi si presenta agl’occhi una scena così spaventevole e orribile, che a sol ricordarla mi sento nell’anima un brisciamento, un ribrezzo ch’io ne tremo a verga a verga.

Due uomini eran sotto il tremendo gastigo; uno aveva scritta in fronte la parola: — Il calunniatore — l’altro la parola: — Lo spergiuro.

A’ piedi del calunniatore si rizzavano due enormi serpenti, i quali aggraticciandosi, avviticchiandosi, intrecciati su per le gambe e pel corpo dell’infelice, gli uscivano un per lato alle spalle, si elevavano minacciosi sopra il di lui capo schizzando fuoco dagl’occhi, e arruotando ringhiosi acutissimi denti; e mentre il