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Spiccavasi ai fianchi dalla sottil vita, ricca di pieghe e piovente a grand’arco sopra guardinfanti e crenolini, l’ampia sottana, che accincigliata e guarnita da capo a piedi di balze, gale, frangie, trine, nastri, fronzoli, cincinnoli e gingilli, le faceva d’intorno sì vasta volta, che sotto quel busto scarzo, e svelto, pareva la cupola di Santa Maria del Fiore sotto l’agile lanterna.

Olente di muschio, come una serpe acquaiola, la superbissima signora passeggiava altezzosa e sprezzante, degnando calare appena uno sguardo schernitore sulle altre donne, che con tanta concianata pompa non aveano potuto lisciarsi ed infrascarsi. Sbalestrava briosa quegl’occhi suoi spavaldi e putti in cerca di ammiratori, e solo per invaghicchiar di sè qualche cinedo, a lui volgeva cortigianesco e furtivo uno sguardo, e con un bocchin da sciorre aghetti, graziosamente sorrideva.

Un capo ameno, scaltrito e scorto, il quale era sul ruzzo, ebbe animo di umiliare e sternere la burbanza e l’orgoglio di questa leggiera lisciarda; esso sapeva costei figlia di un paltoniere, che sebben ricco ora di molte dovizie accumulate a furia di iniquissimi furti, in sua gioventù aveva raccattato lo sterco per le strade; non poteva quindi comportare che questa figlia del fango la portasse ora tanto alta.

Recatosi frattanto in remota stanza, preparò un biglietto, e infilatovi uncinato uno spillo, nel tempo che la superba dama ballava col suo martio una manferina seppe trovar stiva di appiccarlo alla deretana parte della gran cupola, senza che alcuno notar potesse la mano che l’opera compieva.

Nel biglietto erano scritti in carattere formato i due seguenti versi:

Orsù dunque, amici, ogni cosa a luogo!
Al mulo il basto, a Messalina il truogo.