Pagina:Le murate di Firenze, ossia, la casa della depravazione e della morte.djvu/83


— 80 —

CAPITOLO XXX.

Sesta veduta.

Fummo presto giunti all’uscio della sesta stanza, quivi mi viddi innanzi due individui. Uno di questi era un vecchiaccio fegatoso, brutto quanto il peccato; sedeva su di una scrannaccia a bracciuoli con un berrettaccio in capo così unto bisunto e di tanto sudiciume imbrattato, che altri non che soffrirlo in capo, non avrebbe potuto vederlo in un mondezzaio. Due sopraciglia folte, arruffate, soprastanti a due occhiacci iniettati di sangue e giallognoli, un naso grosso e largo con ampie e vibranti narìci, una bocca svivagnata col labbro di sotto alquanto sporto cascante e tremolo, annunziavano un uomo rozzo, selvatico, inquieto, subito all’ira e arrapinato. In fronte aveva scritta la parola: — L'avaro.

L’altro era un giovine grossolano, atticciato, materiale, un fastellone sgarbato in ogni suo atto e movenza, e senza che io avessi letta nella di lui fronte la parola: — Il materialone — lo avrei giudicato tale a sol vederlo. Teneva costui la bocca spalancata, come uno di quei mascheroni che son posti talvolta presso la Posta, nella aperta bocca de' quali si immettono e calan le lettere. Toroso il collo, tarchiato di spalle, larga la schiena, pesante e goffo in ogni parte del suo corpo, presentava l’insieme di uno di quegl’esseri, nei quali lo spirito quasi oppresso e schiacciato da un’enorme massa di materia, si rimane ottuso, rozzo, snervato e tardo. Teneva l’indice della mano destra introdotto in una delle narici, e così sconciamente vi succhiellava