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ogni lor parte, e vivono, e son forti e robusti quanto altri mai.

Calandrino inarca le ciglia, spalanca la bocca a tanta erudizione, e si va persuadendo che l'affare deriva netto netto dalla notte delle succiole. Ma quando poi per ultimo argomento Pulcinella assevera che nelle Pandette al titolo - de legittimate natorum - sono ricordati questi fenomeni, e addotti molti esempi di fatti consimili, il buon uomo che non vuol parer nuovo e nescio di cose tanto importanti, pronto risponde:

— Sì sì avete ragione! Or che men ricordo è un fatto avvenuto anche ai tempi dei Romani, e rammento benissimo di averlo letto; avete ragione! Mia moglie è anche troppo calorosa, che alle volte scotta, brucia, è proprio un affar serio; non sarà infocata come le donne di sotto l'equatore, ma poco meno, caro dottore, poco meno, e potrebbe benissimo anche in quattro mesi darci alla luce un bambino compiuto e perfetto. Eh, eh! Io so quel ch'io vo' dire quando dico zucca!

E stropicciavasi le mani e saltacchiava festoso, inzuccherandosi e struggendosi di compiacenza quante volte ricordava le famose ballotte. Avrebbe voluto poi trovar nelle Pandette gli esempi rammentati dal dottore, ma quella benedetta opera era scritta in latino, e il latino riusciva a lui più indigesto che le ballotte alla moglie; perciò se ne stava a detta di Pulcinella, e viveva tranquillo.

Ma se la bisogna correva liscia per Calandrino, non era così per gl'altri, i quali messi a parte dei fatti dai discorsi che faceva il gran martino, raccontando l'accidente delle ballotte, se ne faceva un chiasso, un bisbiglio, un patassio che mai per tutto il paese, donde n’eran tutti in iscandalo grandissimo. Fu perciò che i due perfidi pensarono nell'avvenire di mutar verso e