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CAPITOLO XXVI.

Seconda veduta.

Appena usciti da quella stanza, il buon genio mi si fece nuovamente scorta, e come fu pervenuto alla seconda si fermò dicendo: benissimo! così appunto voleva vederti. — Accorsi curioso all’uscio, e viddi nella stanza un brutto vecchio, che stizzosamente svellevasi con ambo le mani i pochi e brinati capelli che gli coprivano il cranio. Ritto costui in mezzo la stanza e colla faccia a noi rivolta, mi mostrò subito lo scritto che aveva in fronte, ed era la parola, il ladro.

Piccoli e tondi aveva gli occhi, colorati al tutto di un lucido nero; vermiglie le guancie, ma profondamente solcate da fosse triangolari; largo e piuttosto schiacciato il naso; aperte e vibranti le narici; piccole le orecchie, sottili le labbra e tremole; proporzionata e strettamenle chiusa la bocca; soverchiamente sporgente il mento colla punta volta in su. Di visaggio aspro e chiuso presentava nell’insieme l’aspetto di un vecchio scaltrito, stizzoso, perverso.

Di fronte da lui di un passo era seduto un giovane nella di cui fronte viddi scritta la parola il fanciullone.

Questi aveva il pugno destro alla bocca, e biascicava le nocche della media congiuntura delle dita, mentre che colla sinistra sollazzava la fagiana; messo in così sconcio atteggiamento con due occhi stupidi, sonnacchiosi, musava scioccamente sorridendo.

— Perchè, domandai io al genio, questo vecchio arcigno sì grosso si mostra e arrovellato?

— Egli n’ha ben donde, mi rispose facendosi tutto severo in viso; ascolta. Nato da genitori miserabili,