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— Come mai d’intorno a così grandioso palagio non si vede una via, non si conosce una pesta? — Ciò avviene perchè a ben pochi, è dato di arrivar sin qua. — E di chi è quel bel maniero? — Della Verità. — Ohi ohi! Il palazzo della Verità? — Precisamente! Tu credevi forse che in terra la Verità non avesse casa, ma t’ingannasti: non v’ha che questo sol palazzo, è vero, ed è disdetto a molti di entrarvi, ma intanto per qualcuno ha casa anche in terra, e come tu vedi, vasta assai.

Eravamo giunti a breve distanza da quel bellissimo palagio; e quanto più ad esso mi avvicinava tanto, più lo ammirava. Era un immenso quadrato corso tutto a due piani da balaustrati, terrazzi, sopra i quali rispondevano le finestre tutte dei primi due piani. Al piano terreno vedevasi un doppio loggiato, ove a due filari in bell'ordine sorgevano spesse e grosse colonne, sulle quali puntavano gli agili archi delle volte reali, che sorreggevano i piani superiori. Come fummo giunti sotto quel loggiato io rimasi altamente stupefatto e trasecolato alla vista delle ricchezze che in quel palazzo erano a gran mano profuse.

Le colonne di quel loggiato eran tutte di marmi peregrini e rari, o di pietre preziosissime. Vedevi il verde cupo del crisolito bellamente intrecciarsi col verde aperto dello smeraldo: gli azzurri lapislazzoli colle colorate turchine; il chiaro zaffiro col fiammeggiante parfido; il pallido col bianco berillo: il bruschino balasco col cupo granato; il flavo giacinto col rosseggiante piropo; il topazzo col rubino, la sarda colla calcedonia, l’agata coll’ amatista, i carbonchi cogl'opali.

Quivi camminavasi sempre sul lucido cristallo di mon-