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gnar la sommità della rupe, e giungere a salvamento. Il progetto era ardito, ma in quelle strette estreme era l'unico che io potessi accettare e seguire.

Feci breve ma fervorosa preghiera, mi premunii con un segno di croce del divino aiuto, e spiccato un salto, mi tuffai nel mare. Animoso procedeva nel gran cimento, affrontando le folate dell’onde, or col petto, or coll’ omero destro, ed or rivolto sulla schiena opponendovi le spalle. Era già vicino a toccar la meta, quando un orribile fischio, come l’acuto sibilo d’immane serpente, mi ferì l’orecchio e m'agghindò il cuore. Spaventato sollevai il capo, e viddi una fosca nube scender dal cielo vorticosa, sibilante infino al mare, comunicare quel suo moto di rotazione all’acque, schiudere alla sua base profondi abissi, e venirmi furiosamente addosso. Viddi appena e già convolto in essa, fui impetuosa mente balestrato in alto mare. Esposto allora a tutto il furor dalla procella, ogni mio sforzo tornò invano; da ogni parte tempestato continuamente sbattuto dal violento cozzo dei sollevati flutti, fui per lungo tempo miserando trastullo dell'onde. Le sofferte fatiche e gli estremi sforzi che or faceva, mi ridussero ben presto a somma prostrazione; le gambe mi spiombavano e non valeva più a sostenerle a galla; le braccia istesse intorpidite e morte più non mi servivan pronte, e spesso affondava in seno all’acque. Avvilito, disperato, sfinito, conobbi che scampato dal fuoco, m’era necessità morir nell'acqua. Rivolsi un'altra volta la mia mente a Dio, implorai soccorso, misericordia, e chiusi gli occhi m’abbandonai come corpo morto all’onde.

Alle dolorose punture dell’unghie acute, adunche di due nerborute granfie che mi ghermirono la schiena, mi risentii; e quando a forza mi sentii alzato su