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16 origini della zecca

sia stata coniata. La prova più convincente sta nel trovarvi precisamente il nome di Venezia, città che, a quanto sembra, riconobbe l’alta sovranità imperiale, ma dove l’imperatore non ebbe mai potere diretto, nè tenne corte o palazzo, di cui sarebbe rimasta traccia o memoria.

Altra conferma di questa opinione si trova nel fatto che Lodovico II, abolito il nome delle varie città sulle monete, vi sostituì il tempio tetrastilo coll’iscrizione XPISTIANA RELIGIO. In ciò si riconosce l’evoluzione storica e naturale: dapprima gli inconvenienti e gli abusi fecero restringere a poche e sorvegliate officine il lavoro di tante zecche, conservando il nome delle più illustri città che vantavano questo diritto per antica consuetudine, poi si soppresse anch’e il nome in epoca in cui l’autorità regia non era maggiore che nei tempi di Carlomagno, e ciò perchè l’onore aveva perduta ogni importanza non corrispondendo più alla realtà delle cose. Finalmente, quando cominciò la decadenza e diminuì la potestà degli imperatori, le città chiesero ed ottennero gli antichi privilegi e misero nuovamente i nomi sulle monete, che da quel giorno non ebbero più uniformità di tipo, e più tardi nemmeno uguaglianza di intrinseco.

Sono quindi fermo nel ritenere che i denari di Lodovico e di Lotario, i quali portano il nome di Venezia sieno coniati a Pavia od in altra zecca imperiale: nè la osservazione del cav. Brambilla1 sulla croce patente, che precede il nome di Venezia nelle monete di Lodovico e non si trova nelle altre di questo principe, basta a farmi credere che esse sieno lavorate in una zecca particolare differente dalla palatina. In tali denari troviamo due rovesci affatto diversi: gli uni rarissimi hanno scritto VENECIAS MONETA, gli altri, più facili a ritrovarsi, hanno semplicemente VENECIAS, e tutte e due le iscrizioni sono precedute da una croce patente. Io ritengo le prime più antiche fatte ad imitazione di quelle che portano l’iscrizione PALATINA MONETA, e la croce mi fa credere,

  1. Brambilla, op. citata, pag. 80.