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Minore, dove erano frequenti i contatti coi mercanti latini, erano in quel tempo i ducati di Venezia ed i gigliati napoletani che si imitavano nelle zecche di Cipro, di Rodi, di Mitilene e di Foglie. E noto che nel 1357 il senato di Genova, in seguito alle rimostranze dell’inviato veneziano, Raffaele Caresini, aveva scritto una lettera energica a Francesco Gattilusio signore di Mitilene, per fargli conoscere i lagni dei veneziani in causa delle monete d’oro coniate nei suoi possessi coll’aspetto del ducato, ma con metallo meno perfetto1. Siccome l’esperienza c’insegna che le monete imitate in una zecca sono facilmente riprodotte in quelle dei paesi vicini, che si trovano nelle stesse condizioni geografiche ed economiche, così non deve sorprenderci che i principi mussulmani dell’Asia Minore, i quali non avevano respinta l’idea di porre la croce di Cristo sulle monete coniate per ordine loro, facessero disegnare sul ducato l’effigie del Redentore ed il principe inginocchiato dinanzi a S. Marco. Resta ora a vedersi se di queste contraffazioni sieno rimaste le traccie, e quali tra i tanti ducati di origine manifestamente orientale possano ritenersi coniati a Theologo od Altoluogo.



  1. Nani Bernardo, De duobus imperatorum Rasciæ nummis, Venezia 1752, pag. 25,