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viii prefazione

è completata dalle tavole, che riproducono i bellissimi disegni di Carlo Kunz.1

Speciale attenzione ho posto all’esattezza delle denominazioni e del titolo, che, se non ho potuto conoscere dai documenti contemporanei, ho rilevato con assaggi chimici. Solo quando trattavasi di monete assai rare, che non si potevano sacrificare, dovetti contentarmi dell’assaggio col tocco sulla pietra; ma in tal caso ho accompagnato la notizia colla parola circa, essendo l’esattezza di tale prova soltanto approssimativa.

Nello stabilire quali monete si debbano chiamare di argento e quali di mistura, non ho potuto seguire il sistema indicato da Domenico Promis, che classifica nell’argento solamente quelle che hanno più della metà di fino, nè quello, ottimo per le romane, che annovera tra le monete d’argento tutte quelle che contengono anche una minima quantità di tale prezioso metallo. Questo modo regge soltanto dove le monete di mistura sono una degenerazione progressiva delle antiche migliori, ma non può essere scelto a Venezia, dove il denaro nei primi tempi era il tipo della moneta ed aveva l’intrinseco corrispondente al valore, contenendo appena un quarto del suo peso o poco più di argento. Ho preferito quindi collocare i denari nell’argento finchè essi conservarono lo stesso titolo, ma quando il tipo o campione del valore fu trovato in altra moneta più perfetta, ed i denari discesero sotto al quarto del loro peso di fino, diventando così una specie inferiore, nella quale si teneva poco conto dell’intrinseco, perchè serviva solo a compensare le frazioni dei pagamenti, allora ho creduto poter classificare i denari nelle monete di mistura tenendo il limite

  1. Alcune poche monete, i sigilli dei dogi P. Zigni, G. Soranzo, M. Falier, M. Steno, F. Foscari, P. Malipiero e C. Moro, e la medaglia che figura nel frontespizio sono ottimi lavori del valente e diligentissimo disegnatore sig. Vincenzo Scarpa.