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care la meta de’ tuoi voti, perchè il resto della tua vita non può bastare ad un viaggio, pel quale abbisognano centocinquant’anni. Cessa dunque dal correre alla tua rovina, figliuol mio, e torna alla tua dimora. —
«Ma indarno il vecchio sforzavasi di smoverlo dalla sua risoluzione: non volle ascoltar nulla, e, preso sufficiente riposo, il terzo dì si dispose a continuare il viaggio. Quando il genio vide che nulla poteva stornarlo da tal progetto, accese il fuoco, vi arse profumi, e pronunciate alcune misteriose parole comparve subito un genio di burbero aspetto. — Perchè mi chiamasti?» chiese al vecchio, «Deggio svellere il culmine che sostiene il tuo palazzo, e lanciarlo al di là delle montagne di Kaf? — No, la Dio mercè,» rispose Abd al Kuddos; «ho bisogno de’ tuoi servigi in un’altra guisa. Bramo che tu trasporti questo giovine da mio fratello Abd al Sullyb. —
«Benchè la distanza fosse immensa, il genio v’acconsentì, e preso Azem colla destra, se lo pose sugli omeri, innalzossi nell’aere, e verso il tramonto discese con lui davanti alla dimora di Abd al Sullyb.
«Appena entrati, il genio, salutatolo con rispetto, gli esternò il desiderio di suo fratello Abd al Kuddos, ed Azem, avanzatosi gli presentò la lettera delle nipoti.
La di lui sorpresa fu grande come quella del fratello, apprendendo la storia d’Azem ed il suo progetto stravagante di penetrare nelle isole di Waak al Waak, e poco mancò non si sdegnasse con lui, vedendo la pertinacia ed il poco ritardo che sembrava avere pe’ suoi consigli. Infine, la disperazione di Azem e le lagrime che versò calmarono il corruccio di Abd al Sullyb, il quale, mosso da compassione, risolse nel fondo del cuore di proteggerlo e guarentirlo, il più che gli fosse possibile, dai pericoli in cui stava per incorrere. Egli chiamò dunque dieci geni, che