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cercando di trascinar giù il giovane, Il quale non ebbe altro mezzo, per evitare una morte certa, fuorchè di abbandonare ciò che doveva salvarlo. Allora il mago gli volse queste parole: — Tu ora espierai, cane di musulmano, le umiliazioni che mi facesti sopportare; rallegrati adesso, e va a trovare i cadaveri de’ tuoi compagni, che giacciono su queste montagne, ove li ho lasciati al par di te. —
«E siccome Azem implorava pietà: — Non piaccia a Dio,» disse, «ch’io sia tanto folle da ricondurre con me un uomo che potrebbe tradire il mio segreto! —
«Sì dicendo, salì sul camello, e lasciò Azem in preda alla più violenta disperazione. Il misero giovine seguì cogli occhi, fin che potè, il perfido compagno; ma quando l’ebbe perduto di vista, cadde a terra privo di sensi. Rimase in tale stato per alcune ore: indi la fame e l’amor della vita lo richiamarono in sè; alzossi, fece la sua preghiera al Creatore, e mangiò uno dei piccoli pani seco portati. Quella tenue refezione gli restituì un po’ di forza; corse da tutte le parti per trovare un varco, ma indarno. Intanto calò la notte: il timore delle bestie feroci ed il pericolo di qualche precipizio, lo costrinsero a fermarsi, e cercare un folto albero per ricovero durante la notte. Ne trovò uno che pareva fatto a bella posta, vi salì, e s’addormentò stanco di fatica.
«Egli faceva un brutto sogno, e sudava a grosse gocce, quando svegliatosi per l’agitazione che provava, si vide vicino al petto le fauci spalancate e gli occhi scintilianti d’un enorme serpente, che sembrava assaporar già il piacere di divorarlo. Il terrore lo rese immobile: il serpe, probabilmente per prendere una posizione più comoda, fe’ un movimento e volse il capo, allora Azem, approfittando della circostanza afferrò ratto la daga, e la cacciò nella testa del mostro, che cadde sull’istante.