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uno scellerato; contro il quale sua madre avevalo inutilmente avvertito. Allora, con la rasseguazioue di un musulmano sommesso ai decreti del destino, si mise a recitare i versetti del Corano.
«— Non avvi altro rifugio che in Dio, da cui veniamo ed a cui dobbiamo tornare. Gran Dio, degnati guidarmi nella via della salute, sul sentiero di quelli che tu favorisci, e che non ti hanno offeso!» Poi, volgendosi al vecchio: «Che fate voi dunque, padre mio?» gli disse con dolcezza. «Mi prometteste piaceri e ricchezze; è questo che mi facevate sperare? — Cane d’infedele,»- rispose il mago, «tu non morrai che di mia mano, ed il mio piacere sarà di prolungare il tuo supplizio. Già trentanove de tuoi fratelli sono caduti sotto i miei colpi: tu sei il quarantesimo. V’ha però un mezzo di salvarti; abiura l’islamismo, ed al par di me adora il fuoco sacro cui rendo omaggio: ti adotto allora per figlio, e ti svelo i miei segreti, — Che il cielo confonda te e la tua religione,» rispose Azem, alzandosi come un arrabbiato; «per Maometto! per salvarmi da pochi vani pericoli di questo mondo, io non voglio divenire apostata, e non rinuncerò mai ai piaceri che Dio promette ai veri credenti. — Miserabile,» sclama lo stregone furente, «saprò ben io umiliare la tua arroganza e smovere la tua fermezza.
«A tali parole, chiama i suoi schiavi, e mentre stendono Azem al suolo, egli lo percuote a raddoppiati colpi con un flagello munito d’acute punte, coprendolo di sanguinose piaghe; il giovane musulmano, pieno di coraggio sopporta intrepido le battiture insultando al suo furore. Il Guebro, stanco, si ferma alfine, e fatta caricare la vittima di pesanti catene impone agli schiavi di gettarlo in fondo alla sentina col pane e l’acqua necessarii alla sua esistenza. Il coraggio d’Azem non soggiacque a quei crudeli