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«Partiti i vicini, Fatima giurò che mangerebbe nulla di preparato col miele di canna da zucchero. — Oh! s’è così,» disse Maruf, «mangerò io la focaccia. — Ottimamente,» riprese la moglie, «tu non dimentichi mai il tuo ventre. — Non sono come te,» rispose Maruf sorridendo, e continuava a mangiare. «Domani, coll’aiuto di Dio,» soggiunse poi, «ti porterò una focaccia di miele d’ape.» Ed accompagnando la promessa con buone parole, calmò la moglie, e passò tranquillamente la notte.
«Alla domane Maruf si alzò di buonissim’ora per recarsi alla bottega, dove in capo ad alcune ore vide giungere due offiziali di giustizia, che lo citarono davanti al cadì, per avere, dicevano, maltrattato sua moglie. Trovò egli dal cadì la donna, colle braccia fasciate ed il velo tutto insanguinato; versava inoltre un torrente di lagrime. — Non temi tu Iddio,» disse il cadì a Maruf, «per maltrattare così tua moglie, rompendole le braccia ed i denti? — Se le ho fatto il più piccolo male,» rispose il povero diavolo, «se le ho torto un sol capello o toccato un dente, mi sottometto volontieri al castigo che vi piacerà infliggermi.» Poi raccontò le cose come stavano, e chiese che si chiamassero a testimoni i vicini, venuti per metter pace tra sua moglie e lui. Il cadì, ch’era ricchissimo, prese una pezza d’oro, e dandola alle due parti: — Eccovi dì che,» loro disse, «comprare una focaccia di miele d’ape, e metter termine al vostro contrasto.» La donna s’impossessò della moneta, ed il cadì le volse alcuni savi consigli sulla necessità di vivere in pace nelle domestiche pareti. Uscirono i due coniugi dal tribunale, e se n’andarono ciascuno dalla sua parte, la donna a casa e Maruf alla bottega.
«Appena si era posto al lavoro, che i due uffìziali tornarono a domandargli la mancia per bere. Ricusò egli sulle prime, dicendo che non aveva nulla da dividere col tribunale, e che il cadì lo aveva assolto; ma gli ufficiali vennero a tali violenze, che il povero Maruf si trovò costretto a vendere una porzione di quanto esisteva in bottega, per dar a coloro