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que Abdallah di venirli a trovare, Nassir invitandolo a pranzo, e Mansur a cena in quel medesimo giorno. Accettò Abdallah l’invito, e recatosi alla loro abitazione, vi fu accompagnato da numeroso seguito. Dopo il pranzo già la sua ragione sentivasi alquanto turbata; ma a cena, l’ubbriachezza divenne perfetta, e gli prepararono nella sala un letto sul quale si addormentò.

«Mentr’era immerso in profondo sonno, i due iniqui precipitatisegli addosso, lo legarono; ma, durante l’operazione, Abdallah, destatosi, ricuperò l’uso della ragione, e: — Che fate, fratelli?» gridò egli. — Devi morire!» risposero quelli, stringendogli la gola e cercando di soffocarlo; Abdallah rimase privo di sensi, ed i suoi fratelli, credendo d’averlo strangolato, lo gettarono in mare. La finestra stava precisamente sul canale della cucina d’una casa nella quale appunto in quel giorno celebravasi una gran festa, ed erasi gettata in mare grande quantità di rimasugli di carne ed altre vittovaglie. Un delfino, attirato dall’odore, trovavasi colà nel momento in cui cadeva Abdallah, ed appena l’ebbe veduto, se lo prese sulla schiena, e portatolo in mezzo all’onde, andò a deporlo sur una spiaggia lontana, dove venendo a passare una carovana, fu veduto, e preso per un annegato, sì che tutti gli si raccolsero intorno. Tra coloro era un bravissimo medico, il quale: — Buona gente,» disse agli altri, «ma non vi accorgete che questo uomo non è annegato e vive ancora? » Lo fece quindi porre sur un camello, e le cure che gli si prodigarono per tre giorni lo richiamarono in vita; ma il povero Abdallah giaceva sempre in estrema debolezza. Quella caravana viaggiò per un mese, ed ogni giorno si allontanava da Basra; finalmente giunse alla città di Angeh in Persia. Abdallah passò la prima notte del suo arrivo a lagnarsi e singhioz-