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mo in vari porti, dove utilmente vendemmo le nostre merci.

«Un giorno, gettata l’ancora presso una spiaggia scoscesa, scendemmo a terra per visitare le montagne vicine. Dopo aver passeggiato qualche tempo, scopersi d’improvviso un serpente di abbagliante candidezza, inseguito da un altro serpente nero, il quale, raggiuntolo, lo strinse nelle sue spire, sicchè il serpente bianco, con moti convulsi, faceva conoscere tutti i suoi patimenti e la sua disperazione. A tal vista, presi una grossa pietra, colla quale schiacciai la testa al serpente nero, e nel medesimo istante il bianco si trasformò in una zitella bella come la luna. — Dio vi rimuneri,» disse, «d’avermi salvato l’onore! l’azione vostra non sarà perduta.» E sì dicendo, battè col piede il suolo, che si aprì, ed ella dileguossi a’ miei sguardi. Allora, accortomi com’essa fosse un genio, bruciai il serpente morto, e raggiunsi i fratelli, a’ quali raccontai l’avventura. La domane, salpata l’ancora, riponemmo alla vela; ma dopo venti giorni di navigazione senza scorger terra, cominciammo ad inquietarci vedendo che le nostre provvigioni toccavano al fine, ed allora il capitano ci dichiarò di non sapere dove fossimo. Pure, in capo ad alcuni giorni scoprimmo terra, e sbarcammo per far acqua fresca, della quale avevamo penuria. Intanto mi recai a visitare le montagne appiè delle quali il nostro vascello aveva ancorato. Colà vidi una città vastissima e ben fabbricata; partecipai la scoperta a’ miei compagni di viaggio, e li sollecitai a venir meco a quella città, dov’eravamo sicuri di trovare tutto ciò che ne abbisognava. — Temiamo,» risposero essi, «che questa città non sia abitata, da infedeli e da nimici di Dio, che ci uccidano o ne facciano prigionieri.» Feci dunque la medesima proposta a’ miei fratelli in particolare, ma egualmente ricusarono. Allora li pregai di attendermi, risoluto di raccomandarmi a Dio ed andarvi io solo.