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un letto d’avorio circondato da cortine di seta rossa. Due cani stavano su quel letto legati con catene d’oro; scioltone il governatore uno, l’animale si mise a leccargli i piedi e le mani, e lo accarezzava in mille maniere, sospirando dolorosamente; ma lungi dal parerne commosso, il governatore si pose a batterle in modo sì spietato, che la povera bestia non potè a lungo resistere, e cadde a terra priva di sensi. Allora il governatore la ricondusse alla catena, e sottopose a simile trattamento l’altro cane. Poi, preso un fazzoletto, ne asciugò le lagrime, dicendo: — Non vi sdegnate contro di me; ciò avviene per vostro bene, e Dio muterà in gioia i vostri patimenti.» Quindi li fece mangiare, mettendo loro in gola egli medesimo i bocconi, e facendoli bere in un vaso che aveva portato: infine, riportato al posto il desco, tornò nella camera da letto, dove Ishak l’aveva preceduto, e fingeva di dormire. Il governatore ripose nell’armadio la frusta, e si ricoricò.

«Ma Ishak non potè chiuder occhio pel resto della notte, chè mille pensieri diversi lo assalivano per lo strano spettacolo, del quale era stato testimonio. Nondimeno non lasciò trasparir nulla il domani, nè i due giorni seguenti, benchè avesse veduto rinnovarsi ogni notte la medesima scena. Il quarto giorno, ripartì col denaro per Bagdad, ove appena giunto, si sollecitò a raccontare al califfo quanto aveva veduto per tre notti consecutive. — Domandaste al governatore!» disse il califfo, «il motivo di tale condotta? — No, Commendatore de’ credenti,» rispose Ishak. — Quand’è così, tornate a Basra, e conducetemi Abdallah, figliuolo di Fazl, coi due cani.» Ishak supplicò il califfo di non incaricarlo di quel messaggio, che gli pareva penoso da eseguire, avendolo il governatore trattato per tre giorni intieri con tanti segni d’amicizia. — Se mando un altro fuor