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ritirò, e la moglie del gioielliere entrò con un lume in mano, onde contemplare con tutto agio l’ospite, cui non aveva se non intravveduto dalla finestra mentre entrava nella casa. Ma non le bastava contemplarlo; gli sedette vicino, e gli accarezzò leggermente il volto, coprendolo di baci appassionati. Aveva posto nel sorbetto una polvere soporifera, della quale conoscendo la forza, era certa che Kamar-al-Zeman non si desterebbe. Fatta per tale certezza ardita, lo colmò di mille altre carezze, baciandogli le labbra e le guance con sì violento trasporto che, in più siti, ne spicciava il sangue; quella donna appassionata passò così la notte intiera senza poter estinguere il fuoco che l’ardeva. La mattina si ritirò, dopo aver messo quattro piccoli dadi in tasca a Kamar-al-Zeman, e mandò quindi la sua schiava a soffiar nelle nari agli addormentati una polvere che doveva, dissipare l’effetto dell’oppio.

«Il gioielliere od il suo ospite, dopo, aver sternutato, svegliaronsi. — Signore,» disse la schiava, «è quasi l’ora della preghiera del mattino: ecco un bacino e l’acqua per fare le vostre abluzioni. - Ah!» disse il gioielliere, «come si dorme in questa camera! ogni volta che mi corico qui non mi sveglio che a giorno fatto.» Kamar-al-Zeman si alzò subito per fare le abluzioni, e si accorse di aver il volto e le labbra ardenti come fuoco. — Guardatemi un poco,» disse al gioielliere; «le labbra ed il viso mi ardono al par di bragia; che cos’è mai? — Oh! non è nulla,» rispose l’altro, «sono punture di zanzare. — Ma come può essere che voi non ne abbiate? Dipende perchè io abito paesi caldi; e d’altra parte, ho la barba troppo folta per tentare le zanzare. È ai forastieri, e specialmente ai volti dilicati come il vostro, che si compiacciono di fare la guerra, — Avete ragione» riprese il giovane. Poi fecero colazione in-