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dello Yemen li onorò della sua prima visita; egli veniva ad aggiungere il bene supremo della sua presenza ai piaceri di cui li credeva inebbriati. Si giudichi della sua sorpresa ed indignazione quando vide la tristezza dipinta su tutti i volti, e che, invece di inni e cantici, non udì che pianti e querele! Pure dissimulò, e attenendosi alla meglio, mescè carezze ai rimproveri, ed a furia di sgridare i suoi santi e blandirli, fece loro promettere di cercar d’avvezzarsi al suo paradiso, e prendere in pazienza la loro felicità. Ma questa promessa estorta lo rassicurò debolmente, e contò ben più sull’ordine, che diede alle guardie del muro esterno, di uccidere senza pietà non più i profani, ma i santi stessi che tentassero scavalcarlo per fuggire dal paradiso.

«Malgrado tutte queste precauzioni, Schedad rientrò nella capitale con un’inquietudine vivissima e ben fondata; non si lusingò, e conobbe che il suo paradiso e la sua pretesa divinità stavano per cadere in un discredito dal quale più non sarebbersi rialzati. Per ovviare al colpo fatale, ricorse al solo espediente che gli restava; con un secondo editto, annunziò che, vista l’ingratitudine del suo popolo e la poca di lui premura a meritare il suo paradiso, stava per creare un inferno, di cui gl’increduli e gli empi non avrebbero riso.

«Siccome è più facile tormentare gli uomini che renderli felici, il nuovo progetto sarebbe riuscito forse meglio dell’altro; ma non si lasciò a Schedad il tempo di eseguirlo. Questa crudele stravaganza allarmò il popolo ed i grandi, e mise il colmo alla loro pazienza. Il tiranno fu detronizzato, e si pensò a lungo sul supplizio, che bisognava fargli subire; finalmente, non si trovò di meglio che rinchiuderlo nel giardino d’Iram, coi vili cortigiani onde l’aveva popolato, e di murare le porte di quel paradiso infernale. Lacerato