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Schedad mantenne la parola ai nuovi santi, e li condusse solennemente al palazzo dell’Iram, dove li lasciò, invitandoli a godere in pace della felicità per loro preparata, e che le sue frequenti visite avrebbero resa ancor più perfetta. Egli stesso chiuse, uscendo, la porta del sacro recinto, dando ordine ai soldati che la custodivano all’esterno, d’immolare appiè del muro ogni profano che tentasse avvicinarvisi.

«Intanto, i beati si abbandonavano senza ritegno alle delizie in cui avevali immersi la sola vista di quel luogo ameno. Per la prima volta nella loro vita, essi ammirarono ed amarono quasi il tiranno; e credettero perfino, com’egli vi si era aspettato, che l’autore di tante delizie non potesse essere che un Dio: ma la fede non durò più a lungo della loro beatitudine, che fu cortissima. Piaceri svariati in apparenza, ma sempre eguali, facili, continui, smoderati, divennero in breve insipide occupazioni, odiosi obblighi: a forza di fruirne, non furono più sentiti. S’avvidero, invece, che il dispetto e la noia non rispettavano il paradiso di Schedad, e le infermità ancor meno.

«Ma ciò non fu tutto: i beati eransi conosciuti nel mondo, ma non amati; vedendosi ora più da vicino, si conobbero meglio e si odiarono. Da quel punto, non fu più possibile società, nè conversazione; rinchiusi ne’ singoli appartamenti, o disposti sulle terrazze del palagio, mirano tristemente i sottoposti deliziosi giardini che li circondano, più non iscorgendovi che l’angusto passeggio della loro prigione. La vista loro riposa più volontieri sul mar Rosso e sur una catena di scoscesi monti che scorgesi da lungi. Cosa non darebbero per errare in libertà su quei spaventosi dirupi, o vogare su quell’onde, infaustamente celebri per tanti naufragi!

I beati erano in questo stato, quando il Dio