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tempo venne la schiava a portare al principe la chiave dell’appartamento per lui preparato, ed il vecchio lo invitò a cena alla sera. Accettato dal giovane l’invito, rimase stupito della bellezza degli appartamenti, tutti adorni di magnifiche pitture e di mobili ricchissimi. S’imbandì la tavola, ch’era opera dell’Yemen, e la cena fu egualmente notabile pel colore delle vivande e pel sapore squisito. Tolte le mense, si lavarono le mani e si misero di nuovo a giocare agli scacchi; ma il giovane perdette questa volta la partita, poichè l’oggetto dei suo viaggio ne occupava l’animo. — Veggo bene,» gli disse il vecchio, «che siete distratto; ditemi cosa v’abbia condotto a Bagdad.» Il giovane gli confessò di essere figliuolo di Khasib, sultano d’Egitto, e gli raccontò la sua avventura. — Sia lodato Iddio!» sclamò il vecchio; «io sono il pittore Abu-’l-Kassem Es-Sandelani; non potevate incontrarvi meglio.» Il principe gli si gettò tra le braccia e lo scongiurò di palesargli qual persona rappresentasse quel ritratto. Il pittore andò a prendere un portafoglio nel quale contenevasi l’originale del ritratto, poichè quello del giovane non n’era che una copia. — È questo,» gli disse, «il ritratto di mia cugina Gemileh di Bassra. Suo padre è governatore di detta città, e chiamasi ~ Abuleis. Gemileh è incontrastabilmente la più bella creatura che esista sulla terra, ma ha il singolar capriccio di non voler mai udir parlare d’uomini. Io l’aveva chiesta a mio zio in matrimonio, ma tutti i miei sforzi per ottenerla tornarono vani. Mi fece essa dire di lasciar sull’istante Bassra se mi era cara la vita, poichè dovete sapere ch’è altrettanto barbara quanto bella, e mi avrebbe in fatti data la morte. Abbandonai dunque la città, e da quel tempo mi occupai a fare il suo ritratto, del quale ho gran numero di copie. Capisco agevolmente, o figliuolo, come voi