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empio, stravagante; insomma un mostro più che un uomo, il quale aveva l’ambizione di voler essere un Dio! Se avesse voluto esserlo soltanto nella sua corte, si dice che i cortigiani d’allora l’avrebbero adorato senza scrupolo, egli, la sua scimia ed il suo pappagallo; ma Schedad pretendeva che tutti i sudditi riconoscessero la sua pretesa divinità, e vi credessero di buona fede e sul serio.
«Per riescire in tal progetto, immaginò un mezzo che gli parve infallibile; fece costruire nella più bella regicne dello Yemen un muro circolare d’altezza ed estensione prodigiosa. Questo muro era circondato di dentro da siepi di pini che servivano di cinta al giardino più vasto e magnifico che si possa immaginare; erano prati smaltati di tutti i fiori primaverili, ed orti feraci che promettevano tutte le ricchezze autunnali; ruscelli che travolvevano le tacite acque su d’aurea sabbia, o che, scorrendo impentuosi sur un letto di perle, mescevano il loro mormorio al gorgheggio degli angelletti; qui si poteva specchiarsi in un laghetto ove scherzavano pesci d’ogni sorta e d’ogni colore; là si discendeva in deliziosa valle, la cui frescura era conservata da una cascata che precipitavasi dall’alto d’una roccia; più lungi si passeggiava tra boschetti profumati e sempre verdi, dove il nardo, il giacinto e l’aloè crescevano appiè delle palme e dei cedri; dovunque mostravasi la bellezza della natura, ed appena vi si scorgeva l’arte timida che avevala adorna.
«Nel centro di questa magica solitudine una montagna rotonda s’innalzava a dolce pendio, e facendosi piana d’improvviso, formava sulla vetta una vasta spianata. Fu colà che Schedad fece costruire un superbo palazzo, ammobigliandolo con pari sontuosità ed eleganza; vi si trovava la pompa del lusso congiunta alle ricerche della mollezza ed all’infinito