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sciuto Abussir, gli mosse incontro con impareggiabile impudenza. — E questa dunque,» gli disse, «la condotta d’un amico, d’un galantuomo? Ho ottenuto qui una patente di tintore, che fece la mia fortuna, e tu non vieni a vedermi, non vieni a pregarmi di esserti utile! Invano ti ho fatto da’ miei schiavi cercare nell’okal e dappertutto; niuno seppe darmi tue nuove. — Come!» sclamò Abussir, «non son io venuto a te, e trattandomi come un ladro, non mi hai fatto bastonare e scacciare dalla tua bottega? — E che!» riprese Abussir, fingendo stupore, «saresti tu quello? — Sì, lo sono. — Per Dio!» ripigliò l’altro, «non ti aveva conosciuto; t’ho preso per quel ladro che tratto tratto avvicinavasi alla mia bottega per rubarmi. — Pel Dio onnipotente,» sclamò Abussir, «t’ho detto il mio nome, e mi feci conoscere ben chiaramente. — Bisogna che sia da mia parte un acciecamento, amico,» ripigliò Abukir; «acciecamento che mi addolora al di là d’ogni espressione. Ma, chi ti ha innalzato a sì alto grado di prosperità? — Quello che fece la tua fortuna,» rispose Abussir, «è pur autore della mia. Iddio mi ha colmato de’ suoi benefizi.» Allora, raccontò tutta la sua storia, e gli mostrò i regali ricevuti dal re e dai grandi della corte; poi, fece portare una pelliccia d’onore ed una borsa d’oro, e lo trattò a sorbetti che furono serviti in mezzo ad una nube di profumi. Tutti vedevano con maraviglia il modo onde il padrone de’ bagni trattava il tintore, il quale volle dal suo canto fargli alcuni doni; ma Abussir non ne accettò. — Bene,» disse Abukir, «permetti almeno che ti dia un consiglio per meglio perfezionare i tuoi bagni. Veggo che manchi di polvere epilatoria.1 Prendi orpimento e calce, soffregane il re

  1. Hanno i Musulmani l'uso di radersi ed epilarsi alcune