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pelliccia d’onore, due mamelucchi, quattro schiavi, ed una casa magnificamente ammobigliata. Gli architetti della corte ricevettero dal monarca l’ordine di costruire, sul disegno dello straniero, un edificio balneare, e terminato che fu, il re mandò ad Abussir centomila zecchini. Stupirono gli abitanti della bellezza del nuovo stabilimento; ma se ne accrebbe la maraviglia, allorchè si cominciò a riscaldare l’acqua e far zampillare le fontane. Domandò Abussir dieci schiavi, ed il principe gliene mandò venti di gran beltà. Egli li fece vestire colla massima eleganza, e loro insegnò come dovessero trattare le persone che venissero a bagnarsi. In breve più non si parlò in tutta la città che di que’ nuovi bagni, chiamati del re, e tutti vi accorrevano in folla.

«Quattro giorni dopo venne colà anche il re accompagnato da tutta la corte. Abussir si mise a servirlo; gli soffregò le carni ed i muscoli; poi lo adagiò in un letto, imbalsamato da squisiti profumi. Provò il monarca un sentimento di diletto fin allora sconosciuto. — Ecco dunque quello che si chiama un bagno od hamam?» chies’egli ad Abussir. — Sì, o sire,» questi rispose. — Per Dio, hai ragione; non v’ha capitale che possa far a meno di stabilimenti simili. E quanto fai pagare ad ogni persona che voglia bagnarsi? — Uno zecchino. — Ah! è troppo poco; in tal guisa tutti potranno venire: bisogna esigere almeno mille zecchini da ciascheduno. — Perdonate, sire,» disse Abussir, «è giusto che anche i poveri possano godere del benefizio del bagno. Permetta vostra maestà che ciascuno paghi secondo le sue forze. — Ha ragione,» sclamarono i grandi della corte; «se merita rimunerazioni, le abbia dalla vostra reale munificenza; ma tollerate che i poveri possano anch’essi farne uso. Noialtri, sì, possiamo pagarli mille zecchini. — Bene,» rispose il