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costretto ad usare simili astuzie. — Anch’io ricavo dal mio mestiere assai scarso profitto,» soggiunse il barbiere; «ma il timor di Dio m’ha sempre tenuto lontano dal commettere simili falli.— Orbene, fratello,» riprese Abukir, «poichè siamo entrambi disgustati del mestiere che esercitiamo, lasclamo il paese e poniamoci a viaggiare. Tu sai cosa disse un poeta in lode dei viaggi:

««Lasciate il vostro paese e viaggiate, se aspirate a grandi cose, chè dal viaggiare provengono cinque vantaggi: Si prova piacere, s’arricchisce, acquistansi cognizioni, si contrae l’uso del mondo, e si fanno amici. Sarebbe meglio esser morto che restar di continuo nel medesimo sito come un insetto.»»,

«Perciò, fratello chiudiamo le botteghe e viaggiamo pei nostri interessi. Metteremo in comune gli utili, e ce li divideremo al nostro ritorno in Alessandria. —

«Imbarcaronsi in quello stesso giorno e misero alla vela. Volle il caso che Abussir fosse il solo sulla nave che sapesse radere la barba, e v’erano a bordo centoventi passeggeri, oltre il capitano e la ciurma. Invece di ricevere denaro, Abussir si fece pagare in provvigioni da bocca, a riguardo specialmente del compagno, ch’era ghiottissimo di buoni bocconi; questi intanto non faceva altro che dormire tutto il giorno, nè davasi pensiero di nulla. Venne il barbiere a svegliarlo e lo pregò d’andar dal capitano che l’invitava a pranzo; ma Abukir era troppo pigro per alzarsi. — Ho la testa stordita dal mal di mare,» gli disse; «andate voi e portatemi qualche cosa.» Abussir gli recò quanto aveva, e l’altro se lo divorò come un lupo. Il barbiere scusò il compagno presso il capitano, e questi, per considerazione d’Abussir, mandò al tintore parecchi piatti della sua tavola; sicchè quando l’altro tornò all’amico, lo trovò lavorando di ganasce