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«Il re nudriva il più vivo affetto per questo visir non solo riguardo alle di lui qualità personali, ma anche perchè seguiva maravigliosamente le benefiche sue disposizioni verso i sudditi. Gilia sarebbe stato il re più felice, se il cielo avessegli concesso un figlio; sola cosa che mancava alla sua felicità. Una notte, egli vide in sogno un albero immenso che ergevasi dal suo corpo, ed era circondato da parecchi altri alberi: usciva dall’albero di mezzo una fiamma che consumò tutti gli altri che stavangli intorno. Colto il re da spavento, si destò di botto, e fece sull’alto chiamare il visir Scimas, il quale lo trovò sul letto col terrore dipinto in volto. Prosternossi il visir a terra, e fece i voti consueti per la conservazione del monarca; quindi gli domandò per qual motivo lo facesse venire a simile ora della notte. Gli comandò il re di sedere, e raccontatogli il sogno, soggiunse: — Vi ho fatto chiamare, perchè siete versatissimo nell’interpretazione dei sogni.» Scimas sorrise. — Cosa ne dite?» riprese il re; «parlate, poichè mi attendo qualche cosa di funesto. — Rassicuratevi,» rispose il visir; «questo sogno non presagisce nulla se non di gradevole; avrete in fine un erede della corona. Ecco tutto ciò che posso per ora rivelarvi; non è ancor tempo di parlar dei resto.» Il re supplicollo di spiegarsi più chiaramente, ma Scimas ricusò di arrendersi alle sue istanze. Gilia lo congedò adunque, e fece chiamare tutti gl’interpreti dei sogni e gli astrologi della sua corte per avere una spiegazione intiera del sogno. — Il visir aveva ragione,» disse il primo interprete; «sarebbe meglio custodire sul resto il silenzio, ma siccome gli ordini vostri sono assoluti, sappiate dunque, o gran re, che il figliuolo che vi deve nascere, sarà pe’ suoi popoli un fuoco divoratore, e li tratterà come il gatto fece una volta coi sorci. — E come li trattò egli?» chiese Gilia.